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Decreto Ilva, ecco timori e attese dei sindacati

Alla fine in campo sono rimaste due squadre sole: la conquista dell’Ilva è un affare tra Arcelor-Marcegaglia e Arvedi-Delfin-Cdp. Il colosso anglo indiano, che ha stretto una joint venture con il gruppo di famiglia dell’ex presidente di Confindustria, punta a rimettere in sesto in tre anni i conti dell’Ilva, ma a quanto pare non gode i favori del governo, che lo sospetta di interessarsi più alle quote di mercato che al risanamento dello stabilimento di Taranto. Nelle grazie dell’esecutivo vi sarebbe invece la cordata italiana, nella quale la presenza di Cassa Depositi e Prestiti – accanto ad un imprenditore siderurgico di riconosciuta esperienza come Arvedi ed alla finanziaria di Leonardo Del Vecchio – garantirebbe una gestione maggiormente attenta all’interesse nazionale.

Per sapere come andrà a finire bisognerà comunque attendere la fine di ottobre, forse la prima metà di novembre. Il decreto in discussione alla Camera, che ha allungato i tempi della procedura, ha in un certo senso aumentato l’incertezza attorno al dossier.

I primi a preoccuparsene sono stati i sindacati, che hanno fatto sentire la loro voce con un presidio davanti a Montecitorio. Mentre l’aula si apprestava a votare gli emendamenti al decreto varato il 9 giugno dal governo, il decimo della lunghissima catena legislativa che i governi succedutisi dal 2012 hanno steso a protezione del gruppo siderurgico, sulla piazza i lavoratori di Fim, Fiom e Uilm che sono giunti da Taranto nella notte chiedevano certezze. Certezze da raggiungere attraverso alcune modifiche al testo del decreto uscito dalle commissioni Ambiente e Attività produttive, una serie di correzioni elencate in una lettera, inviata alla vigilia del presidio ai capigruppo della Camera, sulla base della quale si è svolto poi il confronto con i relatori del provvedimento.

In cima alle loro preoccupazioni c’è il risanamento ambientale, che l’allungamento dei tempi della procedura di cessione rischia di differire. I piani presentati dalle due cordate in campo andranno valutati da una commissione di esperti entro 120 giorni; Fim, Fiom e Uilm chiedono che il via libera sia dato solo a condizione che siano previsti ”miglioramenti” all’Autorizzazione Integrata Ambientale. Altra richiesta riguarda l’inserimento nel testo della clausola sociale, una misura considerata fondamentale per tutelare i lavoratori nel caso di un ridimensionamento dell’occupazione, e l’estensione degli ammortizzatori sociali. Il decreto, però, non sarebbe il veicolo legislativo adeguato per un intervento di questo tipo, ha spiegato ai sindacati uno dei due relatori di maggioranza, la deputata dem Cristina Bargero, che ha rinviato alla legge di stabilità, nella quale “saranno previsti degli ammortizzatori sociali specifici per l’Ilva”.

Il timore delle sigle dei metalmeccanici è che, quale che sia il vincitore, dietro al suo piano industriale si nasconda una brutta sorpresa proprio sul versante del lavoro. Con una produzione annua inferiore agli otto milioni di tonnellate è difficile che alla lunga si possa evitare il ricorso agli esuberi nello stabilimento di Taranto. Così come è difficile, stando alle indiscrezioni che circolano, che i piani industriali che le due cordate metteranno sul tavolo fissino un livello di produzione superiore ai sei milioni.

Un’apertura è arrivata invece sulla questione dei controlli. L’Arpa Puglia, secondo un emendamento approvato dalle commissioni Ambiente e Attività Produttive, verrà rafforzata con un pacchetto di nuove assunzioni. Manca solo il parere favorevole della Commissione Bilancio, ma i relatori considerano l’emendamento ”imprescindibile” per assicurare il monitoraggio del piano ambientale.

I sindacati sono comunque determinati a tenere sotto pressione il governo. Giovedì a Taranto si terrà un nuovo presidio davanti alla Prefettura, in contemporanea i lavoratori del primo turno sciopereranno per quattro ore affiancati da quelli dell’indotto.

Per la Fim “è importante – spiega il segretario dei metalmeccanici Cisl di Taranto Valerio D’Alò – che il Governo effettui una attenta disamina durante l’iter procedurale di conversione al decreto, al fine di adoperare tutti i dovuti accorgimenti – come da noi indicato – in merito all’occupazione, al risanamento ambientale con le relative bonifiche. Chiediamo, inoltre, l’imprescindibile potenziamento degli organi di controllo, intesi come incremento di organici e risorse per garantire un costante e continuo monitoraggio dell’ambiente e degli impianti. In tema sanità – aggiunge D’Alò – è importante che il governo garantisca tutta una serie di misure volte alla prevenzione e tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini, alla luce di quanto tristemente emerso dai dati del registro tumori della provincia di Taranto”. L’approvazione da parte della Camera, attesa in settimana, dovrebbe chiudere la partita. Il decreto scade l’8 agosto ed è difficile pensare che, con tempi così stretti, il Senato apporti nuove modifiche.


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