Skip to main content

Ecco le priorità strategiche dei porti in Italia

Di Paolo Costa

L’articolo di Paolo Costa tratto dall’ultimo numero della rivista Formiche

Si stima che fra due o tre anni le esportazioni italiane dirette al di fuori dell’Unione europea supereranno quelle verso i Paesi dell’Unione (nel 2002 erano a poco più del 60%, ma già l’86% nel 2014) e che lo stesso traguardo verrà raggiunto dell’intera Unione a 28 Paesi nel 2026 (46% nel 2002, 61% nel 2014). Se fino a ieri la politica delle grandi infrastrutture di trasporto per la crescita dell’Italia doveva puntare tutto sui valichi alpini per raggiungere il mercato interno europeo, oggi deve guardare con altrettanta urgenza strategica ai porti. Anche con una politica infrastrutturale più decisa di quella finora messa in campo, perché il ricco patrimonio degli impianti portuali esistenti è largamente obsoleto, sia dal punto di vista funzionale sia da quello geografico. L’obsolescenza funzionale è simboleggiata dal fatto che nessun porto italiano è oggi in grado di trattare i megacarichi delle meganavi da 18mila Teu e più, che caratterizzano la rotta Europa-Estremo Oriente, per la mancanza di almeno una delle caratteristiche necessarie: accessibilità nautica, spazi operativi in banchina, connettività ai mercati. L’obsolescenza geografica dipende invece dal fatto che le merci italiane hanno prevalente origine o destinazione a nord-est in Italia e centro-est in Europa, ma sono costrette a raggiungerli dai porti costruiti per servire il nord-ovest in Italia e il centro-nord-ovest in Europa.

Da tanti porti inutili a pochi sistemi portuali utili. Una politica infrastrutturale da avviare con urgenza, perché l’importanza crescente del commercio internazionale da e per i Paesi extracomunitari creerà una pressione da traffico marittimo di merci sui porti europei dell’ordine del 300% entro il 2030. Uno scenario nel quale la portualità italiana è destinata a perdere quote di mercato (come dal 2008 a oggi) qualora non si attrezzi per garantire un volume di attività due-tre volte superiore a quello odierno. Un risultato da raggiungere tenendo conto del fatto che i traffici sia intra-mediterranei sia, soprattutto, oceanici tendono a organizzarsi in carichi sempre maggiori, trasportati da navi sempre più grandi, per sfruttare le economie di scala sulla tratta marittima della catena logistica. L’organizzazione di gateway multiportuali o la realizzazione di sistemi innovativi, come l’offshore on-shore di Venezia, capaci comunque di trattare anche i megacarichi delle meganavi, da 18mila Teu e oltre, è conditio sine qua non per riconquistare e mantenere la quota di mercato europeo oggi erosa dai porti del Mare del Nord.

La sola politica dei trasporti – e, quindi, anche quella delle sue infrastrutture portuali – realmente utile al Paese è quella che riduce almeno una parte dei 42 miliardi di euro di Pil che si perdono ogni anno per le inefficienze o le imperfezioni di mercato che si manifestano lungo le catene logistiche. Sono 42 miliardi di tassa logistica costituiti da margini impropri che si producono nella trasformazione dei prezzi ex fabbrica o ex dogana in prezzi di mercato e che, entrando come costi nelle funzioni di produzione dell’economia italiana, ne condizionano la competitività sui mercati interni e internazionali. Poco male, anzi bene, per chi controlla gli archi e i nodi della rete di ieri; male per chi è costretto a far fare alla sua merce giri viziosi pagandone poi il conto. Usare bene la rete esistente, rendere ad esempio i nodi portuali vecchi più efficienti anche perché liberati da pastoie burocratiche, è sicuramente un obiettivo commendevole. Ma enormemente meno utile di un progressivo adattamento della rete con la sostituzione dei nodi e degli archi obsoleti con nuovi nodi e archi che consentono davvero di minimizzare il costo del trasporto.

Lo spostamento a nord-est del baricentro della manifattura italiana; lo spostamento a est del baricentro della manifattura europea; la prevalenza del Mediterraneo orientale rispetto quello occidentale nei traffici interni al mare nostrum; la prevalenza a livello globale di traffici da e per l’oltre Suez rispetto a quelli da e per l’oltre Gibilterra; l’obsolescenza da sottodimensionamento di tutti i porti nazionali rispetto ai nuovi megacarichi. Sono tutti fatti che evidenziano come ci siano capacità portuali da espandere e sovraccapacità portuali da abbandonare, e che le espansioni utili e necessarie all’Italia riguardano più l’Adriatico che il Tirreno e, se si vuol cogliere l’occasione cinese della Via della seta, più Venezia e gli altri porti alto-adriatici di ogni altro. Ma l’evidenza di questi fatti non ha ancora prodotto risultati coerenti. La geografia della portualità italiana ed europea non è ancora cambiata. Anzi, di fronte al mutare della geografia delle origini e delle destinazioni dei traffici entrambe le portualità storiche hanno reagito arroccandosi, trasferendo i maggiori costi sui prezzi in forza del potere di mercato esercitato dagli incumbent. Politiche infrastrutturali distratte o conniventi hanno finora favorito queste inefficienze scaricate a danno dei caricatori e dei ricevitori delle merci. Una situazione che, se pure a fatica, la politica europea ha immaginato di correggere entro il 2030, data entro la quale dovrebbe essere realizzata la rete di trasporto transeuropea centrale e i suoi core corridor finalmente dotati di radici marittime mediterranee. Una situazione sulla quale, invece, la politica infrastrutturale italiana non sta ancora esplicitamente pensando di intervenire.

Politiche europee e italiane che, per fortuna, vengono anticipate dai fatti. Nonostante i mercati imperfetti, si stanno già producendo spostamenti dei traffici verso i sentieri di costo minimo. Dal 2004 al 2014 la quota di traffico che, provenendo dall’oltre Suez, è rimasta nel Mediterraneo e nel mar Nero anziché uscire da Gibilterra è passata dal 42 al 57%. Il fenomeno ha cominciato a farsi sentire nel 2015 nel Mare del Nord con una contrazione del traffico container a Rotterdam. Nel periodo segnato dalla grande recessione (2008-2015) i traffici del Nord Tirreno (da Savona a Livorno) sono aumentati del 16,1% mentre quelli del Nord Adriatico (da Ravenna a Rijeka) sono aumentati del 48,4%. Se la politica dei trasporti e delle loro infrastrutture accompagnerà questi fenomeni i vantaggi per la crescita dell’economia italiana si faranno sentire presto.

Paolo Costa (Presidente dell’Autorità portuale di Venezia)



×

Iscriviti alla newsletter