Le email sono un problema costante nella campagna elettorale di Hillary Rodham Clinton; e lo stanno diventando pure per quella di Donald Trump. Vari media Usa scrivono che l’Fbi sta vagliando segnalazioni di possibili intrusioni da parte di hacker – forse russi – in sistemi informatici della campagna della Clinton.
Lo staff della candidata democratica conferma che l’intrusione c’è stata e che ha interessato almeno un sistema collegato all’ex first lady, ma nell’ambito di un più vasto attacco alla rete dei computer del comitato nazionale democratico.
L’Fbi conferma, in una nota, che sta esaminando segnalazioni di “cyber-intrusioni riguardanti diverse entità politiche”, senza identificare i destinatari dell’attacco. Una portavoce della campagna di Hillary precisa che le verifiche fatte non indicano che il sistema principale della campagna stessa sia stato compromesso.
La Clinton è già passata attraverso l’emailgate, cioè la vicenda legata al suo utilizzo, quand’era segretario di Stato, del suo account di posta privato (e non di quello ufficiale, più protetto): l’Fbi ha recentemente concluso l’indagine con una sorta di non luogo a procedere, non avendovi riscontrato reati.
Poi, alla vigilia della convention democratica di Filadelfia, Wikileaks aveva pubblicato circa 20mila mail del comitato nazionale democratico, che dimostravano quel che già tutti sapevano, cioè che l’establishment del partito era più favorevole alla Clinton che al suo rivale Bernie Sanders.
L’inchiesta dell’Fbi ora si riferisce a questo episodio, che potrebbe non essere esaurito, perché Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, ha minacciato altre rivelazioni.
L’ipotesi che il furto delle mail sia stato fatto da hacker russi è stata evocata dalla Casa Bianca, oltre che da fonti democratiche. Alcuni vi vedono un diversivo per distrarre l’attenzione dai contenuti delle mail; altri una prova di un’interferenza del Cremlino nella campagna presidenziale Usa, nell’intento di favorire Trump. Il presidente russo Vladimir Putin ha smentito ogni interferenza, dopo che il presidente Usa Barack Obama non l’aveva esclusa, anzi l’aveva definita “possibile”, ricordando precedenti violazioni da parte russa di sistemi informatici Usa pubblici e privati.
Obama aveva ricordato che Trump ha “ripetutamente espresso la sua ammirazione per Putin”: “Penso che Trump in Russia sia seguito con favore” dai media e non solo.
E i democratici avevano apertamente accusato il candidato repubblicano di aver istigato la Russia a sottrarre e a fare divulgare le loro mail. Jake Sullivan, capo consigliere diplomatico di Hillary, aveva detto: “Questa dev’essere la prima volta in cui un candidato di spicco alla presidenza Usa ha attivamente incoraggiato una potenza straniera a condurre operazioni di spionaggio nei confronti d’un suo antagonista politico. La questione da mero fatto curioso, o anche di rilevanza politica, è diventata una questione di sicurezza nazionale”.
La reazione di Trump, invece di stornare i sospetti, li ha in qualche misura ravvivati. Pur negando di avere nulla a che fare con il Cremlino, il magnate, parlando a Doral, in Florida, ha detto: “Russia, se stai ascoltando, spero che riuscirai a trovare le 30mila mail di Hillary che sono sparite […] Penso che sarai lautamente ricompensata dalla nostra stampa”. Trump si riferiva a mail apparentemente sparite nell’ambito dell’emailgate.
Trump aveva pure aggiunto: “Ho detto che Putin ha qualità da leader migliori rispetto a Obama. Ma questo chi non lo sa?”. E aveva ribadito di voler indurre, se sarà presidente, Mosca a schierarsi “amichevolmente” dalla parte degli Usa contro lo Stato Islamico. Con lui alla Casa Bianca, “miglioreranno i rapporti bilaterali” tra Usa e Russia: anche perché, aveva aggiunto con sarcasmo, Putin “non rispetta” l’ex first lady.