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Come cambia la gestione manageriale delle performance

Aziende come GE e Microsoft, che hanno a lungo utilizzato l’approccio “stank and rank” (raccogli e valuta) per la gestione delle performance, stanno progressivamente abbandonando i sistemi di valutazione e classificazione annuali dei dipendenti, per sperimentare, invece, idee nuove che sembrano garantire feedback e miglioramenti continui. I cambiamenti che queste e altre aziende stanno apportando sono molteplici, vari e, in qualche modo, sperimentali. Tuttavia, alcune costanti stanno iniziando a emergere. Le aziende ripensano le componenti della performance dei dipendenti concentrandosi specificatamente su individui le cui funzioni si discostano dalla media – che sia in positivo o in negativo – piuttosto che provare a differenziare la grande mole degli impiegati che si trovano nel mezzo. Molte aziende stanno inoltre raccogliendo dati di performance più oggettivi, attraverso sistemi che permettono un’analisi automatica in tempo reale. I dati sulle performance sono usati sempre di meno come strumento nudo e crudo per stabilire stipendi. Infatti, alcune aziende elidono il nesso tra valutazione e compensi, almeno per la maggior parte della forza lavoro, legandolo agli estremi bassi e alti della distribuzione di prestazione. Migliori dati permettono di spostare l’enfasi dalla valutazione sullo storico del lavoro alla performance effettiva, sviluppando confronti che stanno diventando più frequenti rispetto agli eventi annuali.

I manager provano a valutare i propri dipendenti sulla base di una serie di indicatori di prestazione (key performance indicator). Le valutazioni vengono poi calibrate l’una sull’altra e, se necessario, aggiustate secondo le linee di distribuzione tipiche di una curva a campana. Tali linee indicano che una vasta maggioranza di dipendenti si attesta nel mezzo, incontrando le aspettative, mentre un numero minore si pone agli estremi, in corrispondenza di una elevata o bassa performance. Un simile modello si manifesta generalmente in tre, cinque o sette punteggi, che sono numerati o etichettati. È una logica intuitiva che aiuta le aziende a distribuire gli stipendi; chi si discosta positivamente ottiene un po’ di più dello stipendio medio, chi si discosta in negativo un po’ di meno.

Tuttavia, le curve a campana non riescono a rappresentare accuratamente la realtà. Alcune ricerche suggeriscono che i profili talentuosi di diverse aree – business, sport, arti e studio – si distribuiscono per lo più secondo una legge di potenza. Uno studio del 2012 ha evidenziato che il migliore 5% dei lavoratori in molte aziende supera del 400% la performance della media. La curva semplice che deriva da questa ricerca suggerisce che dal 10 al 20% degli impiegati apportano il contributo maggiore. Per coloro che incontrano le aspettative ma che non sono eccezionali, i tentativi di determinare le differenti gradazioni di performance si scontrano con la carenza delle informazioni del management, e fanno poco per migliorare la prestazione lavorativa. Fare a meno della graduatoria – che demotiva e irrita i lavoratori – potrebbe avere un senso.

Il passo successivo che le aziende possono intraprendere per traghettare il management dall’era industriale all’era della conoscenza è estromettere l’ansia dei compensi. Tuttavia, ciò richiede che i manager prendano decisioni che appaiono contro-intuitive.

Il convenzionale buon senso lega valutazione della performance a graduatorie e compensi. Ciò appare completamente appropriato: la maggior parte delle persone ritiene che una migliore prestazione richieda un corrispettivo più elevato, mentre una performance peggiore un compenso più basso. Rispettare tali aspettative significa agganciare la prestazione alla media del mercato. Le prestazioni superiori supererebbero questa media, attraendo talenti. Punteggi bassi porterebbero invece i lavoratori sotto la media di mercato, fornendo incentivi a lavorare meglio. È una logica attraente e rispettosa della curva a campana. Infatti, la linea di distribuzione, con le percentuali relative alle differenti posizioni in graduatoria, danno alle aziende uno schema semplice per calcolare pagamenti differenziati, restando intorno al budget complessivo destinato agli stipendi.

Tuttavia, questo approccio presenta una serie di problematiche. Prima di tutto, mette il cavallo davanti ai buoi: i manager fanno ricorso alla distribuzione di compensi desiderata e la convertono nello schema di rating. In secondo luogo, si ignorano i risultati della scienza cognitiva e dell’economia comportamentale. La ricerca di Daniel Kahneman suggerisce che i lavoratori potrebbero temere eccessivamente le implicazioni sugli stipendi di piccole differenze di punteggio, così che la paura di perdite potenziali, anche se piccole, potrebbe influenzare il comportamento del doppio rispetto al potenziale che si otterrebbe con questo meccanismo. Sebbene tale idea sia contro-intuitiva, legare prestazione e pagamento può demotivare anche nel caso in cui le procedure determinino piccole variazioni nei compensi.

Poiché solo pochi impiegati spiccano, ha poco senso rischiare di demotivare la grande maggioranza. Sempre più aziende di tecnologia, per esempio, hanno eliminato i bonus connessi alla performance. Al contrario, esse offrono salari di base competitivi e bonus fissi (a volte pagati in quote od opzioni di quote) legati alla performance complessiva dell’azienda. Al tempo stesso, molte di queste aziende pagano premi speciali, anche discrezionali, alle prestazioni che realmente eccellono. In questo modo, possono rimuovere quasi tutti gli elementi di preoccupazione per la maggior parte dei lavoratori.

I progressi nel pensiero del management e i recenti cambiamenti introdotti dalle grandi aziende, richiedono una generale rivalutazione della performance: cos’è, se e come valutarla, e come premiarla al meglio. Le organizzazioni dovrebbero prendere nota.

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