Victor Barrio è morto. Il toro lo ha incornato. Il corno ha perforato il polmone e reciso l’aorta. Il toro lo ha ucciso come lui lo avrebbe dovuto uccidere. È successo sabato a Teruel, in Aragona. Il sole occupava un terzo dell’arena quando era da poco iniziato il gioco de la muleta. Suonava il Toque de Muerte a Teruel; sugli spalti stava la moglie Raquel. Bella, giovane e sorridente.
Non aveva trent’anni Victor Barrio. La sua era una vita piena. Fatta di amici. Di giornate intere trascorse presso gli allevamenti. In campagna tra le bestie. Ore e ore con i piedi nella sabbia a esercitare l’arte della lidia. Di allenamento, in allenamento cercando di perfezionarsi. Ripetendo all’infinito, con rigore maniacale gesti, passi, posture.
Victor insegnava ai giovanissimi l’arte della tauromachia. Aveva un viso dai lineamenti fini. Pulito. Lo sguardo, però, tradiva una certa distanza. Il senso dell’assenza che appartiene a chi sa che ogni istante può essere l’ultimo.
Non è un eroe, né un martire Victor. È uno che ha scelto un codice. Che ha scelto di vivere dentro una liturgia che a ogni suerta passa accanto alla morte e vi si specchia.
Ha vissuto sognando la gloria oltre la grande porta di Las Ventas, ma il destino in cui credeva aveva per lui in serbo la sola porta dell’infermeria di Teurel.
Solo cuando el hombre haya superado a la muerte y lo imprevisible no exista morirá la Fiesta de Toros