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Il mio ozio, tutt’altro che vizio!

I dati resi noti oggi dall’Istat sentenziano come la spesa media delle famiglie nel 2015 sia risalita a 2.499,37 euro al mese, in aumento dello 0,4% rispetto al 2014.

Scettiche però le associazioni dei consumatori. L’Unione Nazionale Consumatori rimarca come si tratti di un aumento di spesa inferiore ad 11 euro. “Per una famiglia e tradizionale di 4 persone, sempre secondo i dati resi noti oggi dall’Istat, la spesa mensile scende di più di 31 euro, -0,98%, passando da 3189,75 euro del 2014 a 3158,61 del 2015. Su base annua significa 373 euro in meno; a dirlo è Massimiliano Dona, segretario dell’Unione Nazionale Consumatori. Se poi confrontiamo la spesa rispetto al 2011, c’è un crollo dell’11%, pari a 391 euro mensili. Su base annua si tratta di una cifra astronomica pari a 4.696 euro”. Confrontando la spesa di una famiglia di 4 componenti dal 2011 al 2015, la voce alimentari e bevande scende da 652 euro mensili del 2011 a 594, un calo di 58 euro, pari al 9%. Su base annua gli italiani, in appena 4 anni, spendono 704 euro in meno di prodotti alimentari. Per abbigliamento e calzature la riduzione è del 18,6%, 41 euro al mese, 493 all’anno. Il record, in termini percentuali, è per la voce comunicazioni (-21,1%, -22 euro al mese), seguita dai mobili, articoli e servizi per la casa (-20,8%, una riduzione di spesa di 32 euro al mese, 388 euro all’anno).

Che dire? Lo dico: Io, consumatore benestante, affrancato dal bisogno, mi sto concedendo un lusso: l’ozio.

L’ozio di non far nulla, di sprecare il tempo, di divagare tra spensieratezza ed amenità, di zonzeggiare per mio conto, disattento e perdigiorno; libero  di stare ignudo, di ignorare il conoscere, ancor più disinformato, abdicando al volere, al potere e pure al fare. Mi privo dello scegliere, vieppiù del contrattare.

Ehi Cocco, se fai così chi cacchio lo fa il PIL?

Chi garantisce la crescita; chi trasforma il valore delle merci in ricchezza; chi, consumando, consente la riproduzione?

Chiedo scusa ai manager, agli operai, agli impiegati, persino a quelli delle tasse, per aver praticato tal  lusso e non aver corrisposto al loro merito di produrre.

Di aver svilito il valore delle merci con la supponenza di potermi sottrarre all’obbligo dell’acquisto, di non aver consumato dando corso alla riproduzione, di non aver prestato orecchio ai consigli per gli acquisti e non aver visto il Valore Visto previsto dal marketing.

Che svista!

Ennò, non si può!

Essì, esimi Consumatori, altro che ozio: negozio!

Lavorare vi tocca, dicono i Policy Maker: il lavoro di consumazione. Quel lavoro forzato della spesa, per giunta senza ferie.

Già, ma come faccio quando la crisi, oltre che sul lavoro, “ha avuto un effetto negativo anche sui redditi e il divario salariale che ne è risultato potrebbe essere difficile da chiudere”?

Non lo dico io, lo rileva il direttore della divisione Lavoro dell’Ocse, Stefano Scarpetta, nel testo di apertura dell’Employment Outlook.
“L’aumento della disoccupazione durante la crisi è stato seguito da un calo dei salari nei Paesi più colpiti, ma quasi dovunque i salari sono rimasti stagnanti o sono cresciuti a malapena”, aggiunge, precisando che il calo ha toccato sia il valore nominale che quello reale dei salari. “Non è certo se i lavoratori potranno mai recuperare i potenziali incrementi di salario persi dal 2007.

Ehi, ehi, Signori miei, se quel che ho avuto, ho e avrò in tasca è questo.

Beh quel mio ozio sarà tutt’altro che vizio!

Mauro Artibani

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