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Ecco perché Isis attacca la Turchia

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È difficile esagerare la gravità (dunque l’importanza) di quello che è appena accaduto a Costantinopoli. L’ennesima strage attribuibile agli integralisti, assomiglia a tante altre, ma se ne distingue per le proporzioni e soprattutto per i significati e gli obiettivi.

È stato un attacco di stile più militare dei soliti, con le forze armate turche come obiettivo primario, nonostante che i civili abbiano finito anche stavolta per pagare gran parte del conto di sangue. Ciò acuisce il significato di sfida. Lo fa almeno altrettanto la scelta dell’obiettivo: Costantinopoli invece di Ankara.

Non è solo internazionalmente più noto, rivela anche che il timing non è stato casuale.

Si tratta di una spedizione punitiva contro lo Stato turco, mirata alle sue radici islamiche. L’Ankara di b è stata sede, negli ultimi tempi, di una serie di decisioni che alla leadership jihadista sono parse particolarmente gravi. Si sono affievolite le speranze dell’Isis e soci, mai confessate, che l’accentuarsi delle ostilità fra il governo turco e i curdi portasse a una diminuita attività bellica contro gli integralisti, in nome dell’antica massima secondo cui il nemico del mio nemico è mio amico. Ciò finora non è accaduto, nonostante l’intensità dei sentimenti ostili da ambo le parti, inclusa la persona di Erdogan.

L’intensificazione di ostilità e dunque di combattimenti è un elemento e un motivo in più per l’indebolimento militare del Califfato che è evidente negli ultimi mesi un po’ su tutti i fronti, al punto che, cadute Palmira e Falluja, perfino la capitale di fatto, Raqqa, è in pericolo.

Alle sconfitte sul campo si può rispondere solo con una intensificazione del terrorismo. Per cui militano altri segni di indebolimento dell’assalto integralista. Uno è un certo miglioramento nei rapporti fra Turchia e Stati Uniti, sia pure in modo molto indiretto ma che si riflette sulle disponibilità sui vari fronti, da quello siro-iracheno alla lontana e finora trascurata Libia.

Ancora più significativo, forse, è il silenzioso raffreddamento (non si può ancora parlare di distensione) fra Turchia e Russia, che è, e anzi diviene, sempre più la forza militare prevalente in quella che un tempo si chiamava Mezzaluna Fertile. Gli aerei e i cannoni di Mosca picchiano duro, anche se con interruzioni ma senza le lacune dovute a preoccupazioni politiche. La Russia è, dopotutto, il Paese europeo con il maggior numero di cittadini, o sudditi, musulmani e quindi in prima linea per contenere la spinta a una reislamizzazione.

L’ultimo gesto di un supposto rammollimento di Erdogan è però l’accordo appena firmato con Israele che mette fine allo stato di tensione e ostilità aperto dall’attacco israeliano di un paio d’anni fa contro la nave turca che portava soccorsi in gran parte umanitari a Gaza. Il compromesso raggiunto ora è limitato ma sostanziale e potrebbe indicare appunto la fine di una fase belligerante che, a prescindere dai contenuti, isolava il governo di Ankara in un campo che era stato sempre il suo.

È vero che i jihadisti si sono sempre occupati poco, in realtà, dei problemi e delle necessità dei palestinesi: non sono una comunità particolarmente integralista e, anche quando sono militanti, lo sono per cause politiche e nazionalistiche piuttosto che religiose. La Turchia si era sempre tenuta fuori da quel vespaio. Una volta cadutavi sembra aver trovato la saggezza di distanziarsene, pur senza rinnegare le proprie scelte di campo.

Motivi e spunti. Rivelazioni, considerazioni e sospetti. C’è anche la scelta dell’obiettivo. Costantinopoli e non Ankara. Ankara è la capitale della Repubblica turca, sorta poco dopo i «tratti ineguali» che, anche e soprattutto nel Medio Oriente, conclusero la Prima guerra mondiale.

L’iniziativa di Ataturk nacque dalla necessità di salvare il salvabile, almeno un’identità turca che fino a quel momento era stata la struttura portante dell’Impero Ottomano. Un’eredità che nessuno però ha mai interamente rinnegato e il cui ricordo si è andato riscaldando proprio negli anni di potere di Erdogan.

I precedenti non mancano, non solo nelle leggende profetiche, quelle della Terza Roma e della Battaglia, «decisiva per le sorti dell’umanità», che dovrebbe svolgersi un giorno nella pianura di Daqib per la riconquista di Costantinopoli. Un luogo magico a cominciare dal nome: Istanbul, «verso la città», è come tutti la chiamano. Ma anche l’ultimo sultano e califfo, fino al 1918, continuava a datare ufficialmente le leggi e i decreti di governo da una capitale che era stata romana e cristiana.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)


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