Improvvisamente un vuoto di memoria, un black out mentale e la 37enne Michela Cervasio lascia la sua bimba di 18 mesi, Gaia, nell’auto. Finito il lavoro, torna dopo quattro ore all’auto e improvvisamente la bimba le ricompare davanti: esamine, respira a fatica con la testa riversa in avanti sul seggiolino. Trasportata all’ospedale di Cecina, Gaia, viste le condizioni disperate in cui versa, è trasferita all’ospedale pediatrico Meyer a Firenze dove, messa in terapia intensiva, muore per complicazioni neurologiche sopraggiunte in seguito allo stato di forte disidratazione.
Ero sicura di aver lasciato Gaia felice all’asilo, di averla salutata come sempre con un bacio e invece era sempre lì sul seggiolino…dormiva, forse sognava, ha raccontato la Cervasio. E poi ai carabinieri ha ribadito: L’ho dimenticata, è colpa mia.
Non si tratta di un vuoto di memoria che può capitare spesso quando ci si dimentica qualcosa, come l’ombrello o le chiavi di casa, un qualsiasi oggetto: quando però a essere dimenticato è un altro essere umano, soprattutto un bambino che necessita di amore, calore, attenzione e accudimento, si deve parlare di pulsione d’annullamento per cui si cancella tutto, la persona e il rapporto avuto con essa, e di questo rapporto non resta traccia alcuna, afferma lo psichiatra e psicoterapeuta Carlo Anzilotti e precisa: mi riferisco alla pulsione d’annullamento scoperta dallo psichiatra Massimo Fagioli, nota ormai da quarant’anni.
Con la scoperta della pulsione d’annullamento di Fagioli si può dire che, di fatto, è iniziata la psichiatria e la stessa psicoterapia finalizzata alla cura e guarigione della malattia mentale. Anzilotti risolutamente ci tiene a sottolineare, evidenziare: un conto è dimenticarsi un qualsiasi oggetto, altro è dimenticarsi? no, cancellare un altro essere umano, e ribadisco specie un bambino, e tutto il rapporto interumano avuto. No, non si può affatto equiparare una cosa, un oggetto, come un ombrello o una penna, ad un essere umano.
Detto ciò, lo psichiatra e psicoterapeuta, allarga subito il discorso, punta dritto su quel che sta succendo in questi giorni in Giappone, in Francia, in Germania e aggiunge: E’ proprio il caso di aprire una discussione seria sulla malattia mentale, sulla violenza, sempre negata, che e’ insita nella malattia mentale: stiamo vivendo una drammatica situazione senza precedenti per gli atroci, virulenti, efferati atti di violenza che si ripetono ovunque a opera di giovani, ragazzi spesso in cura psichiatrica per depressione o per altre patologie, che vengono associati, ma successivamente all’atto, o hanno, ma pare che siano meno dei primi, già legami con l’Isis. Ecco, mi chiedo che sta succedendo? E soprattutto dov’è la psichiatria? Mi pare che sia la grande assente.
Lo psichiatra e psicoterapeuta, argutamente, mette sul tavolo il dilemma e rompicapo della Politica e della stessa Cultura che attende una risposta: siamo in presenza di terroristi o invece di psicopatici, di isolati, detti lupi solitari, che preparano tutto con estrema dovizia e portano lucidamente freddamente a termine i loro raccapricianti piani? E’ da e per questo che, chiosa Anzilotti, è quanto mai doveroso avviare, e presto, una discussione, ormai improcastinabile, sulla malattia mentale e sulla sua violenza.
Anzilotti prende a riferimento gli Usa dove gli episodi di violenza, le tante sanguinose stragi nei campus, nelle discoteche, nei pub, nelle scuole, sono state, sbrigativamente, circoscritte alla licenza delle armi. Ma la licenza delle armi, viene ora ampiamente dimostrato, non c’entra nulla, c’entra, invece, una certa cultura, un certo pensiero, tanto è vero che si impiegano i mezzi più stravaganti, come un Tir lanciato sull’affollata Promenade des Anglais a Nizza, come se le persone fossero insetti fastidiosi da schiacciare o un coltello come al centro per disabili a Tokyo dove un 26enne ne ha ucciso 19 perchè voleva liberare il mondo dai disabili. Sono atti di una violenza inaudita che mirano a eliminare l’umano. No, ripeto, non è in ballo il mezzo che viene usato per questi atroci, virulenti, efferati atti di violenza: qui è in ballo ben altro, la malattia mentale e la violenza che c’e’ nella malattia mentale, su cui sarebbe il caso di aprire una discussione seria.
Insomma, quel che sta venendo fuori chiarissimamente da qualche anno è che – come dimostrano i casi di Anders Breivik e di Andreas Lubitz, affetti da gravi patologie psichiatriche, ma lucidi, determinati e freddi nell’attuare i loro assurdi piani: la strage dei 77 partecipanti al campus sull’isola di Utoya e l’aereo portato a schiantarsi con 150 passeggeri sulle Alpi – nella malattia mentale, conclude lo psichiatra c’è una violenza sempre negata: sarebbe ora per la psichiatria e la psicoterapia discuterne seriamente.