Sono tanti o pochi duecento a manifestare il 16 luglio davanti a Palazzo Civico di Torino con il bavaglio sulla bocca contro l’assessorato “alle famiglie”? Il numero è stato dato dalla redazione locale di Repubblica.it, che ha definito il sit-in convocato dal Popolo della Famiglia (PdF) un «flop». A parte il fatto che gli organizzatori hanno riferito di trecento persone intervenute ma, sinceramente, una manifestazione organizzata in due settimane, senza nessuna copertura mediatica, con 30 gradi al sole (l’appuntamento è stato proprio nell’ora del solleone, alle 15), convocata da un partito che alle scorse amministrative ha raggiunto a malapena l’1% a livello nazionale, e diretta infine contro un sindaco eletto l’altro ieri con il 55% dei voti dei torinesi, ci sembra di poter dire che la verità si avvicina molto più al quel «grande successo» annunciato sui social dal presidente nazionale del nuovo movimento Mario Adinolfi.
“NUOVI” SINDACI: ALLORA ANCHE LA COSTITUZIONE È “OMOFOBA”?
Si è conclusa verso le 17 la manifestazione di ieri a Torino del PdF intitolata “Di Famiglia ce n’è una sola“, diretta contro il giovane sindaco Chiara Appendino e la sua scelta di declinare al plurale il concetto di famiglia, mutato in “famiglie” nell’intitolazione dell’assessorato affidato a Marco Alessandro Giusta, già responsabile dell’Arcigay-Torino. E la modifica, hanno assicurato dagli uffici del primo cittadino pentastellato, si avrà presto anche negli atti amministrativi del Comune. La scelta pare voluta fortemente da quell’ex seminarista Paolo Giordana che, capo di gabinetto della Appendino, ha “imposto” il past president di Arcigay alla guida dell’assessorato “alle famiglie”, per impostare subito un imprinting omosessualista alla neonata giunta torinese.
Per questo nei manifesti e striscioni sventolati sotto il Palazzo della nuova Giunta pentastellata dalle due trecento persone, appartenenti a tutte le età, scese in piazza con il bavaglio sulla bocca e in mano la Costituzione aperta all’articolo 29, non sono mancati slogan come “Non siamo genitore 1 e genitore 2“, “La famiglia non si inventa, si riconosce!” e, infine, “La Costituzione è omofoba?“. Se infatti quella che nasce dal matrimonio fra un uomo e una donna è “società naturale”, come riconosce da settant’anni la Costituzione Repubblicana (art. 29), come ci rientrano allora le Unioni Civili che, assicurano gli organizzatori, “alla fine sono tutte fra omosessuali?”.
Mentre a piazza Palazzo di città si scandivano slogan come “La famiglia è una sola”, dietro la finestra della prima cittadina si stavano svolgendo le “celebrazioni” di alcuni matrimoni, tanto che alcune coppie di sposi novelli si sono avvicinate ai manifestanti scambiando parole di apprezzamento per l’iniziativa. All’indomani del Torino gay Pride di sabato scorso, Chiara Appendino aveva spiegato i motivi della scelta sulla nuova denominazione dell’assessorato per le “famiglie” al plurale: «C’è chi ha osteggiato questa scelta ma dire “famiglie” invece di famiglia significa smettere di lavorare per un concetto astratto, la “Famiglia”, e cominciare a farlo per quelle concrete, le famiglie». Anche il nuovo assessore neo-nominato, Marco Alessandro Giusta, un passato nel movimentismo LGBT, aveva così ribadito le ragioni di quella delega che sta tanto facendo discutere, e non solo nel mondo cattolico: «La realtà ci dice che, negli ultimi decenni, le esperienze di vita famigliare sono sempre più variegate».
A battersi contro questo andazzo e per la tutela “locale” dell’articolo 29 della Costituzione è scesa in campo in consiglio comunale anche l’esponente del Pd Monica Canalis, che ha definito la modifica del nome dell’assessorato e le conseguenti annunciate misure arbitrarie e non discusse in assemblea. La consigliera cattolica che ha una consolidata esperienza alle spalle nel volontariato sociale (nel Sermig) è stata però subito smentita dai suoi colleghi di partito e, persino a livello nazionale, la senatrice Pd Monica Cirinnà l’ha umiliata definendola «una pulce con la tosse».
IL “CASO” DI REPUBBLICA.IT
Informando tempestivamente sulla manifestazione di Torino, la locale redazione di Repubblica.it titola in modo neutrale, “Il popolo del Family day in piazza contro la sindaca Appendino”, raccontando di un sit-in cui alle tre di pomeriggio di un sabato di metà luglio sotto il sole cocente hanno partecipato centinaia di persone (il numero lo hanno dato gli stessi cronisti del quotidiano diretto da Mario Calabresi). Poi neanche un’ora dopo la pubblicazione on line del pezzo una modifica decisa interviene nel titolo, nel quale si aggiunge la parola “flop” (cfr. Gabriele Guccione, Torino: il flop della protesta del popolo Family Day contro la sindaca Appendino, in Repubblica.it, 16 luglio 2016). Come si vede dal link dalla stringa di titolazione, è evidente che il titolo qualcuno l’ha cambiato: http://torino.repubblica.it/cronaca/2016/07/16/news/il_popolo_del_family_day_in_piazza_contro_la_sindaca_appendino-144237574/
Ma cosa è cambiato nel frattempo, tanto più che la manifestazione era ormai finita?
La vicenda è stata naturalmente denunciata sul blog del Popolo della Famiglia su cui è stato rilevato come Repubblica.it “inizialmente, titolava asetticamente “Il Popolo della Famiglia in piazza contro la Appendino” e l’articolo di cronaca dell’avvenimento riportava con correttezza la presenza di centinaia di persone all’iniziativa. Improvvisamente però a qualcuno quell’articolo preciso non piace, bisogna dare la colorazione ideologica giusta, quella che piace a Paolo Giordana, il capo di gabinetto della Appendino che ha deciso che l’assessore doveva essere il presidente dell’Arcigay e l’assessorato non doveva più essere alla Famiglia ma “alle famiglie”, che sono una costruzione artificiale perché come spiega bene in un’intervista a Repubblica proprio quell’assessore “non c’è niente di naturale nella famiglia”» (Repubblica e l’informazione della Gaystapo, in Il Popolo della Famiglia – blog, 16 luglio 2016).
Resta il fatto che, a Torino, in un sabato di metà luglio centinaia di persone sono scese in piazza per dare vita ad un sit in di protesta politica. Sentendo i primi “rumors” dalla Roma del nuovo sindaco, anch’esso pentastellato e filo-LGBT, Virginia Raggi, forse si prepara qualcosa di simile anche davanti al Campidoglio. Raggi, infatti, come primo fra i suoi atti da primo cittadino, ha nominato un suo delegato, un dipendente della amministrazione, per la celebrazione e registrazione delle unioni civili. In un settembre romano, però, a lei potrebbe andare molto peggio se un Popolo della Famiglia sotto l’ombra del Cupolone chiamasse alla mobilitazione…