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Monte dei Paschi di Siena, tutte le tensioni sottotraccia fra governo e banchieri

Di Michele Arnese e Federico Fornaro
basilea

Il confronto sulle banche non è soltanto tra il governo di Matteo Renzi e i suoi interlocutori europei. Nei giorni scorsi, infatti, non appena si è saputo delle trattative dell’esecutivo per ottenere un sostegno agli istituti di credito di casa nostra, subito un nuovo confronto, a denti stretti, si è aperto. Si tratta di quello del governo Renzi con gli stessi banchieri italiani, irritati perché proprio la ricerca di un accordo di questo tipo tende ad accendere indirettamente una spia rossa sull’intero comparto del credito della Penisola, indiscriminatamente e senza stare tanto a badare ai casi particolari.

IL CASO MPS

Non è un caso che la Borsa, nei giorni che hanno seguito la Brexit (la decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione Europea), abbia più che mai penalizzato gli istituti di credito italiani, a eccezione del più bisognoso di un sostegno, ossia Monte dei Paschi di Siena, per cui però va sottolineato che Consob ha vietato per tre mesi le vendite allo scoperto. Mps, infatti, è l’istituto su cui il governo Renzi si sta muovendo con maggiore urgenza senza dirlo esplicitamente, poiché è molto alto il rischio che non riesca a superare gli stress test europei dell’Eba su cui si alzerà il velo il 29 luglio.

GLI SBUFFI INFORMALI

Mentre il governo lavora con Bruxelles per trovare un accordo di sistema utilizzando le possibilità della direttiva Brrd su operazioni precauzionali sul capitale delle banche anche a carattere pubblicistico, dai banchieri sono giunti sbuffi verso l’esecutivo che ha dato l’impressione seppure indirettamente – secondo molti vertici di istituti di credito – di fornire una immagine negativa ovvero caracollante e dell’intero sistema bancario, senza specificare che il vero obiettivo è trovare una soluzione giuridica per una potenziale operazione statale nel caso del Monte dei Paschi di Siena. Gli sbuffi informali e privati si sono tramutati solo in alcuni casi in dichiarazioni pubbliche che danno a volte solo in parte il sentimento vero dei banchieri.

LA REAZIONE DELL’ABI DI PATUELLI

I primi a scendere in campo in corrispondenza della trattativa del governo italiano con l’Ue per sottolineare la solidità delle banche italiane sono stati i vertici dell’Abi, l’associazione di categoria degli istituti di credito. E il motivo è semplice: siccome il fatto che ci sia una trattativa del governo in corso con l’Europa per il sostegno alle banche italiane crea l’aspettativa che gli stessi istituti siano tutti quanti in difficoltà, urge smorzare i toni e diffondere tranquillità sul settore. A fare un passo in questa direzione è stato il numero uno dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, che invita ad abbandonare “i preconcetti antibancari” perché “la qualità e le solidità delle banche è una premessa dello sviluppo del paese”, ha detto il presidente dell’Abi.

LE PAROLE DI SABATINI E MASSIAH

E’ sceso poi più nel dettaglio della questione il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, che negli scorsi giorni a margine del consiglio nazionale della Fabi ha commentato dicendo che “a differenza di altri paesi le banche italiane hanno la capacita e le potenzialità per affrontare questa crisi da sole”. Dunque, non è necessario alcun intervento statale di sistema. E l’11 luglio ha aggiunto: “Ci sono momenti – ha spiegato Sabatini, che è anche presidente della Federazione bancaria europea – in cui gli attacchi della speculazione sono imponenti. Ma non possiamo non vedere che alcune cose importanti sono state fatte: la cassetta degli attrezzi è abbastanza piena. Il problema si sta risolvendo. Serve solo tempo”. Sulla stessa lunghezza d’onda il vertice di Ubi: “In presenza di risorse che sono scarse mi domando perché iniettare risorse in una banca solida come la nostra. Sarebbe una follia, a me sorprenderebbe”, ha detto il consigliere delegato di Ubi Banca, Victor Massiah a margine della presentazione del nuovo piano industriale che prevede l’uscita di 2.750 dipendenti e l’ingresso di 1.100 nuove risorse.

LE DICHIARAZIONI DEI ABETE, BAZOLI E MESSINA

A difendere la posizione delle banche, sottolineandone la solidità e la capacità di resistere all’attuale buriana è stato, tanto per cominciare, il presidente di Bnl (che fa parte del gruppo francese Bnp Paribas) Luigi Abete, che dal programma tv Ballarò ha invitato tutti a stare tranquilli e a non badare al crollo dei titoli in Borsa. Secondo quanto dichiarato in una intervista al Corriere della Sera il 14 luglio da Giovanni Bazoli, storico ex presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, la tratattiva europea di Renzi sulle banche “dovrebbe essere un banco di prova di come un Paese può e deve farsi ascolatre dai responsabili dell’Unione”. Tanto più che, per Bazoli, “il sistema bancario italiano è fondamentalmente sano e non è giusto che sia penalizzato da regole incongrue. Il vero problema che affligge l’Italia è la sua vulnerabilità alle speculazioni del mercato”.
Ma ancora più netto sulla questione è stato il consigliere delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, che, come riportato da Mf, ha bocciato la strada delle ricapitalizzazioni statali, quella cioè che il governo Renzi sta tentando di battere per risolvere il problema di Mps. “Non credo all’ingresso di capitale pubblico nelle banche, il sistema italiano è molto solido e c’è una esagerazione nella percezione del problema delle sofferenze che sono più che coperte dal valore delle garanzie. Se è necessario lavorare bisogna farlo come sta facendo il fondo Atlante, garantendo una dismissione delle sofferenze a valore di carico. L’idea di fare aumenti di capitale per svalutare le sofferenze ai prezzi che indicano gli investitori mi sembra sbagliata”.

I NODI DA RISOLVERE

E qui Messina arriva proprio al cuore del problema, perché gli aumenti di capitale che servono per sostenere le banche italiane, Mps in primis, derivano proprio dalla differenza di valutazione dei crediti deteriorati (npl) tra i bilanci (circa 40% del valore lordo) e il mercato (dove i grandi fondi esteri chiedono meno del 20 per cento). Un buco che vale circa 40 miliardi per le banche nel loro complesso e dai 4 ai 6 per la sola Mps. Tra l’altro, non è affatto scontato, come invece sostiene Messina, che il fondo di sistema Atlante possa comprare gli npl esattamente al valore di carico degli istituti. Secondo le ultime indiscrezioni, il fondo gestito dalla Quaestio di Alessandro Penati dovrebbe sgravare Mps dai crediti deteriorati acquistandoli a un prezzo a metà strada tra la valutazione a bilancio e quella del mercato, vale a dire intorno al 30 per cento. Ma non si tratta dell’unico punto controverso di tutta la faccenda. La trattativa di Renzi con l’Ue sulla ricapitalizzazione preventiva delle banche italiane (che appunto dovrebbe seguire la cessione degli npl), e in particolare di Mps, trova infatti uno scoglio al momento non ancora superato sulle obbligazioni subordinate. Il governo Renzi vorrebbe proteggere l’investimento di tutti questi obbligazionisti, ma dall’Europa si richiede il sacrificio almeno degli operatori istituzionali. Un rebus non semplice da risolvere.


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