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Perché Confindustria sbuffa per il compromesso Ue sul Mes alla Cina

Lisa Ferraini

Dopo oltre un anno di discussioni e prese di posizione, con tanto di voto contrario del Parlamento europeo, il riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina è sempre più vicino. Con dei paletti, contrappesi, monitoraggi che però sembrano tutte misure “arrendevoli” rispetto alla potenza di fuoco di Pechino. L’impressione è che il Collegio dei Commissari europei riunitosi a Bruxelles alla fine non voglia lo scontro con l’ex Celeste Impero e, per questo, sta studiando una nuova via che possa indorare la pillola sia per quegli stati che si battono contro il riconoscimento del Mes – Italia in testa – sia verso Pechino che considera il passaggio di dicembre, quando scadranno dopo 15 anni i vincoli dell’adesione al Wto, fondamentale per vedere la propria economia iscritta nel club dei grandi paesi industrializzati.

In pratica la soluzione promossa dai Commissari europei è l’abolizione della “lista nera” di paesi che non sono considerati economie di mercato e contemporaneamente l’introduzione di un nuovo sistema, valido per qualsiasi stato adotti pratiche commerciali sleali, con dazi più alti e più rapidi. Un’ipotesi di lavoro che aggira il problema dello status economico alla Cina, rispetta gli obblighi legali del Wto e rafforza allo stesso tempo i meccanismi di difesa anti-dumping.

“E’ una soluzione migliore dello status quo” – ha sostenuto il vicepresidente della Commissione Jyrki Katainen – “un approccio radicalmente nuovo e neutro rispetto ai paesi. Vogliamo liberarci dalla lista degli stati il cui status non è di economie di mercato, in modo che le misure anti-dumping e sussidi si applicheranno a tutti”.  Promettendo anche di velocizzare le procedure anti-dumping che passerebbero da 9 a 6 mesi e aumentando il livello dei dazi finora considerati troppo bassi, soprattutto nel settore siderurgico, che saranno allineati alle misure prese da altri partner commerciali come ad esempio gli Stati Uniti (dove le sanzioni oggi superano anche il 200% mentre l’Ue ha dazi sotto il 50%). L’obiettivo della Commissione è chiaro:  disinnescare il potenziale esplosivo della questione ‘status di economia di mercato’ per la Cina. “E’ meglio dimenticare questo concetto” – ha insistito Katainen – “la Cina non ci ha chiesto di darglielo ma solo di rispettare i nostri obblighi e di essere trattata come gli altri membri del Wto”.

Sarà. Ma questo “uovo di Colombo” è un’operazione assai rischiosa e, non a caso, il Ministero dello Sviluppo Economico ha assicurato che monitorerà “da vicino” la soluzione.  “Si tratta a nostro avviso – ha detto il numero uno di via Molise, Carlo Calenda – dello scenario meno irrealistico tra quelli che erano stati finora identificati e che trova le sue radici nel costruttivo lavoro che la presidenza italiana aveva pazientemente costruito in materia di modernizzazione dei Tdi (Trade defense instruments) nell’ambito delle riunioni del Consiglio dei ministri Ue responsabili per il commercio internazionale e nell’azione che da più di un anno stiamo svolgendo sul tema Mes”.

Scetticismo che viene espresso anche dalla Confindustria. “Più che le definizioni ci interessano i cambiamenti nel regolamento anti-dumping. Con l’eccesso di capacità produttiva cinese, che oggi interessa la siderurgia, ma domani potrebbe toccare qualsiasi settore manifatturiero, l’anti-dumping Ue deve rimanere realmente efficace, non soltanto a parole”, ha spiegato la vicepresidente per l’Europa, Lisa Ferrarini, aggiungendo che “non abbiamo ancora visto una proposta tecnica: possiamo commentare soltanto le dichiarazioni e, purtroppo, non mancano i motivi di apprensione”.

Bruxelles comunque deve ancora formulare la proposta legislativa vera e propria, attesa entro ottobre, e questa, come si sa, a sua volta, dovrà ricevere il disco verde sia dal Consiglio che dal Parlamento europeo. La nuova via appare ancora alquanto fumosa, anche perché mentre i meccanismi di difesa commerciale europei  oggi sono abbastanza automatici, dopo potrebbero diventare molto più farraginosi e comunque aprire “la stagione di ricorsi” al Wto di cui l’amministrazione Obama, ad esempio, è a conoscenza avendo aperto contro Pechino ben 12 cause ancora tutte da giudicare. E non solo. Mentre gli Usa sono un player unico l’Europa, anche con l’uscita della Gran Bretagna, deve mettere d’accordo sempre 27 governi e non tutti hanno un sistema industriale e manifatturiero da tutelare e quindi la spaccatura in seno all’Unione, tra Nord e Sud, potrebbe essere ancora più manifesta. A tutto vantaggio della “fabbrica del mondo” cinese.


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