Tre elementi vanno sottolineati: (1) l’importanza della globalizzazione per la crescita; (2) la necessità degli sforzi nazionali per raggiungere gli obiettivi , sia pur limitati, dello sviluppo economico (3) la rilevanza crescente del multilateralismo per conseguire obiettivi nazionali, mutualmente compatibili. Benché vi siano stati altri episodi di fallimento nel seguire la strada tracciata da questi tre punti, la Brexit è il primo caso di “reversal” di un processo di integrazione economica , che molti ritenevano irreversibile. Come tale, esso sembra chiamare in causa i fondamenti del modello di sviluppo economico perseguito negli ultimi 50 anni, non solo dalle nazioni europee, ma da tutto l’Occidente. Allo stesso tempo, nel contesto della lentezza e fragilità della ripresa economica, la Brexit ha generato una narrativa di disastro globale, nel contesto di un pessimismo economico e di fuga dalla realtà che rischia di autoalimentarsi.
Per comprendere le ragioni delle analisi e previsioni così negative, bisogna riflettere sulla crescente problematicità delle politiche economiche e sulla difficoltà di comunicarne le caratteristiche non solo ai cittadini comuni “non addetti ai lavori”, ma anche a intellettuali e policy maker impegnati a vario titolo nella governance dell’economia. Al di là delle divisioni tra promotori di politiche di bilancio attive o restrittive, il modello di crescita condiviso dalla maggior parte degli economisti è fondato sull’idea che la politica economica debba ricercare un equilibrio tra funzione e struttura, promuovendo l’attività economica , ma rafforzando al tempo stesso le istituzioni e riducendo le fragilità politiche comuni ai sistemi economici moderni. Le politiche strutturali sono tuttavia molto difficili da portare avanti, in parte perché contrastano con le politiche funzionali, basate sul sostegno della domanda e sul ruolo attivo delle istituzioni pubbliche , in parte perché esse debbono essere spesso perseguite da quelle stesse istituzioni che dovrebbero essere oggetto delle riforme.
I processi di globalizzazione economica, inoltre, hanno avuto successo soprattutto nella riduzione della povertà e nello stimolo della crescita nei paesi meno sviluppati, mentre lo sviluppo economico ha segnato importanti battute di arresto nei paesi avanzati e nel miglioramento delle condizioni della classe media. Nonostante la sua importanza, il successo delle politiche di sviluppo del terzo mondo non è riuscito a controbilanciare la crisi del modello di sviluppo delle democrazie occidentali e la crescente disillusione delle classi medie nei confronti delle istituzioni e delle elites politiche. Incoraggiando la integrazione finanziaria e la dipendenza dei mercati dalle aspettative degli operatori, inoltre, la globalizzazione ha generato un aumento dell’incertezza di sistema, con effetti negativi sulla fiducia nelle istituzioni, specialmente quelle politiche e finanziarie, viste con sospetto come conniventi e predatorie.
Le politiche economiche dei governi hanno perso allo stesso tempo mordente e prestigio anzitutto perché non sono state in grado di combinare in modo credibile manovre congiunturali (o funzionali) e riforme strutturali. La ricerca di un equilibrio tra questi due tipi di politiche, viste come contrapposte, si è infatti spesso esaurita in una sterilizzazione di entrambe, attraverso il tentativo sostanzialmente rinunciatario del perseguimento di una austerity non qualificata, velleitaria e controproducente. La simultanea realizzazione di shock di domanda e di offerta, sempre più frequente in mercati globalizzati e interdipendenti, inoltre, ha complicato ulteriormente il quadro , richiedendo politiche economiche capaci di perseguire obiettivi allo stesso tempo congiunturali e strutturali nel breve termine.
La vicenda della Brexit è sintomatica del malessere indotto da questa situazione paradossale, caratterizzata da una crescente alienazione della classe media dalle istituzioni politiche ed economiche, ma anche della confusione degli economisti e dei policy maker di fronte alle sfide della politica economica. Secondo le stime più moderate (Feyrer, 2009, Krugman 2016), la perdita netta di PIL per la GB dovrebbe essere dell’ordine del 3- 9%, ma esistono anche autorevoli stime econometriche (per es. Frenkel e Romer, 1999) che arrivano al 24%. Questi costi dovrebbero essere la conseguenza della riduzione di commerci internazionali tra la GB e il resto della UE e sono probabilmente esagerati. La perdita di PIL della GB, essendo il risultato di una riduzione del commercio internazionale, è uno shock dal lato dell’offerta.
Essa infatti consiste nella contrazione della curva delle possibilità produttive della GB, conseguente alla sua rinuncia alle condizioni di scambio più vantaggiose. Questo shock di offerta di per sé non è una riduzione di domanda effettiva, ma lo diventerà se gli si risponderà con delle politiche economiche inappropriate. L’aumento di incertezza derivante dal futuro delle negoziazioni e dalla reazione degli operatori, inoltre, non è di per sé negativo. Esso aumenta il valore dell’opzione di attesa che è soprattutto importante per gli investimenti di breve termine. Potrebbe ritardare alcuni investimenti, ma, allo stesso tempo migliorare le prospettive degli investimenti di lungo termine. Questo perché un aumento dell’incertezza accresce le minacce, ma anche le opportunità del futuro (tecnicamente, aumenta il valore dell’opzione di attesa, ma anche quello dell’opzione di espansione futura di un investimento effettuato ora).
La Brexit inoltre crea una concreta opportunità per la UE di riconsiderare le proprie politiche economiche, tenendo conto di uno scenario strutturale dell’Unione, drasticamente alterato dall’assenza della GB come partner maggiore della dialettica interna di governo. In questo scenario, la Germania è chiamata a svolgere un ruolo di leadership positiva, che aveva fino a questo momento evitato, preferendo condividere quello di “reluctant bride” nell’Eurozona, con quello analogo della GB nella UE. Questo ha significato una guerra di attrito sulle politiche dell’Unione , e un ruolo negativo di veto esplicito o implicito, continuamente colorita dal sospetto che paesi come l’Italia potessero operare in modo opportunistico. Ora questo non sarà più possibile e la Germania dovrà venire allo scoperto e affrontare in modo esplicito i nodi strutturali del dilemma europeo.
(Prima parte di un’analisi più ampia. La seconda parte dell’analisi sarà pubblicata venerdì)