Il vertice che si terrà l’8 e il 9 luglio a Varsavia costituisce un punto di arrivo del rinnovamento e della nuova forza politica e militare della Nato rispetto alle pressioni russe degli ultimi anni – su tutta la frontiera orientale, con al centro la crisi ucraina, fino all’influenza diretta nei partiti politici (Lega Nord, Front National) e nei giornali. Il summit tradurrà questo slancio con quattro battaglioni da 1000 uomini in Polonia e nei tre Paesi baltici, e otto mini-centrali di comando. A Varsavia si arriva però in un contesto complicato dalla Brexit, di cui si possono segnalare almeno tre casi emblematici: la pressione sulla Finlandia, le fratture politiche a occidente (spontanee o provocate), i segnali “militari”.
LE PRESSIONI SULLA FINLANDIA
La pressione sulla Finlandia è il primo termometro. Paese neutrale e cuscinetto durante la guerra fredda (e criticato da parte americana ai tempi dei negoziati di Helsinki), ha spostato il baricentro dopo la crisi ucraina e gli sconfinamenti. L’elenco dei motivi di tensione è lungo, con cariche di profondità contro un sottomarino russo nella baia di Helsinki il 28 aprile 2015, e con una dichiarazione dei ministri della difesa “nordici” del 7 aprile 2015 preoccupata dalla “minaccia russa” (Svezia, Norvegia, Danimarca, Islanda e appunto Finlandia). Il 6 giugno 2016 a Mosca il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov si era espresso duramente contro la possibile adesione della Finlandia alla Nato. Ne sono seguiti incontri riservati per raffreddare gli animi in preparazione dell’incontro, avvenuto il 1° luglio, a Naantali, in Finlandia, tra il presidente Sauli Niinistö e il presidente Vladimir Putin. Incontro difficile nelle parole ma anche sul piano militare, riguardo alla distanza delle truppe dai confini e riguardo all’accensione dei transponder sugli aerei.
GLI EUROPEI DA DIVIDERE
Il secondo fatto da ricordare è l’insieme della comunicazione politico-diplomatica e mediatica da parte russa sui temi geopolitici e di sicurezza. In questo ambito, vanno ricordati almeno la celebrazione del St. Petersburg International Economic Forum del 16-18 giugno e il discorso di Putin agli ambasciatori russi del 30 giugno. Al Forum di San Pietroburgo hanno partecipato tra gli altri Jean-Claude Juncker, Nicolas Sarkozy e Matteo Renzi, tra molti dubbi e pressioni per ridurre le sanzioni, che il Consiglio dell’UE ha poi esteso per una altro semestre. Nel campo europeo sono così emerse con chiarezza varie divisioni, alla vigilia tra l’altro dell’ulteriore spaccatura imposta dal voto sulla Brexit.
Il discorso di Putin agli ambasciatori del 30 giugno ha poi anticipato le nuove linee guida della politica estera russa, accompagnando l’attivismo politico all’interno dell’Unione europea. Solo per citare l’Italia, per esempio, è di questi giorni l’annuncio della riunione congiunta delle Commissioni esteri del Senato italiano e della Camera alta russa, che si terrà in ottobre a Mosca, mentre i consigli regionali della Liguria il 29 giugno e della Lombardia il 5 luglio su iniziativa della Lega Nord hanno adottato mozioni sull’eliminazione delle sanzioni, e a Milano anche sul riconoscimento del referendum in Crimea.
SEGNALI MILITARI
Il terzo punto riguarda i segnali armati, visibili appena nei giornali e nei media. Dal 1990 l’Armenia è nell’area di difesa russa, ma va ricordato che il parlamento armeno ha ratificato il 29 giugno un accordo sulla piena integrazione in casa propria delle forze aeree russe. Nel 2015 è stata riaperta la base di Alakurtti nella penisola di Kola, a 60 chilometri dal confine finlandese, ed è ora operativa. Si contano i militari russi dentro e davanti al Donbass ucraino, si parla di due nuovi radar, di mezzi nucleari dissuasivi (missili Iskander-M, in due-tre anni) a Kaliningrad ma anche dei rinforzi terrestri che Reuters ha notato in questi giorni nell’enclave russa. Da parte occidentale, va ricordata almeno la manovra militare in Polonia di simulazione di un attacco russo, dal 7 al 17 giugno con 31.000 uomini, 18 Paesi e 5 membri associati.
Per rasserenare gli animi, nel discorso di Putin agli ambasciatori del 30 giugno vi era ampio richiamo al dialogo, rilanciato anche dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che il 4 luglio ha espresso ai giornalisti la propria volontà di promuovere al più presto una riunione del Consiglio Nato-Russia.