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Di tutto un Po

RUGGERO PO

Quella che comincia domani sarà l’ultima settimana di Ruggero Po ai microfoni di Radio Rai, dove il conduttore di “Zapping” ha passato oltre metà della sua vita professionale. Dopo la grande avventura, da protagonista, della nascita e dell’affermazione delle “radio libere”, dopo avere guidato a Radio1 i programmi più prestigiosi, il giornalista ha seguito per l’emittente pubblica il varo di programma impegnativi come “La notte dei misteri” e “Baobab“, è stato nella cabina di comando dei GR più impegnativi e ha raccontato quotidianamente dai microfoni di “Radio anch’io” la crisi del 2011. Dopo due anni restituisce al direttore di Radio Rai una “Zapping” rinnovata e migliorata negli ascolti del 36%.

Come è cambiata la radio in questi anni di lavoro? Soprattutto, come ha fronteggiato l’invadenza della rete e dei social network, entrati prepotentemente nella comunicazione di Zapping?

Quando io cominciai a fare radio, era il 1969, il feedback era attraverso lettere e cartoline postali. Se aggiungiamo che lavoravo per una radio estera, oltretutto “oltrecortina”, come Radio Capodistria, tu parlavi oggi e il riscontro lo ricevevi dopo una decina di giorni; complimenti e insulti c’erano anche all’epoca ma mediati da una grande distanza, di luogo e di tempo. Alla RAI solo “Chiamate Roma 3131” all’epoca apriva le linee alla diretta telefonica, ma erano interventi assolutamente sorvegliati da filtri incrociati. Poi furono i tempi delle “radio libere”, telefoni aperti senza nessuno a controllare prima, poca politica, molte dediche, e agli esperti, anche scientifici, arrivavano soprattutto domande. Gli anni duemila furono quelli che sdoganarono la rete, l’incoraggiamento alla multimedialità con i commenti anche solo sulla pagina social del programma ed è qui che, forte soprattutto dell’anonimato, quello che non ti chiede di metterci nemmeno la voce, il leone da tastiera dà sfogo al meglio e al peggio di sé. Per quanto riguarda Zapping i miei due anni sono stati aperti alle telefonate senza filtro: messaggio, ti richiamo e vai in onda, di te, nel caso, ho solo un numero di cellulare. Ha funzionato e in pochissimi hanno rinunciato a confrontarsi in modo civile.

Come si conciliano in un buon talk radiofonico il ruolo degli ospiti, quindi autorità, esperti e vip, e quello del pubblico, delle persone comuni?

L’ospite, politico, esperto o vip nei programmi che conduco è sempre “protetto”, non concedo ad alcuno di “metterlo in mezzo”, tantomeno lo faccio io o incoraggio a farlo come altri colleghi usano per sollecitare gli ascolti. Ho sempre evitato le arene e, nel limite del possibile, cercato di non appaiare ospiti di orientamenti diversi da aizzare l’un contro l’altro. Ciò che può riuscire in televisione alla radio diventa un insopportabile pollaio nel quale alla fine tutti urlano e nessuno, nemmeno il conduttore, è in grado di capire chi sta parlando in quel momento. Il pubblico, la gente comune, è incoraggiata a intervenire con le proprie opinioni, le proprie testimonianze, oltre che con eventuali domande.

Come si regge la concorrenza di un’emittenza che invece punta molto sulla musica facile, sulle chiacchiere facili, sulle battute facili?

La radio fortunatamente non è vittima dello share. Gli ascolti li conosci ogni sei mesi e sei libero dallo stress di recuperare di giorni in giorno sul “dirimpettaio”. Il mio negli ultimi due anni è stato Giuseppe Cruciani. Alla battuta facile, dove lui è inarrivabile, ho cercato di contrapporre l’approfondimento. I risultati dicono che ce l’ho fatta riportando Zapping davanti a lui già nei miei primi sei mesi di conduzione.

È stato pesante rinunciare, per un media bellissimo come la radio, a esperienze diverse, dal video alla carta stampata?

Io sono “nativo radiofonico”. Sporadicamente, e moltissimo tempo fa, feci TV e uffici stampa. In entrambi i casi fuggii in tempi brevissimi. Nessuna rinuncia per la radio che vorrei poter continuare a fare. Poi come sempre è la vita a scegliere e per il futuro non escludo nulla.

Come è stato il passaggio da Radio anch’io a Zapping, due trasmissioni di punta, simili per certi aspetti ma con differenze notevoli anche in funzione del diverso orario di messa in onda?

Ho fatto Radio Anch’Io nel periodo peggiore della nostra storia recente, la crisi del 2011, la fine del berlusconismo con le polemiche che si è portata appresso, il disorientamento politico del 2013. Raccontarlo è stato complicato soprattutto di fronte ai troppi nervi scoperti di una politica che, dal programma principe del servizio pubblico, si aspetta rigore e equilibrio, cosa che ogni politico, naturalmente, interpreta a modo suo. Liberarmene, dopo quattro anni e mezzo, è stato rigenerante. Misurandomi con Zapping ho voluto dimostrare, dopo l’ingessatura richiesta in precedenza, di potere fare anche “jazz”, con l’improvvisazione, col serio alternato al faceto, sempre con rigore, e qualche risata in libertà. L’orario serale per un giornalista è sicuramente migliore, almeno non ti accade di arrivare al mattino e dover buttare ciò che è stato preparato la sera precedente perché il mondo è andato avanti.

Come si sceglie un tema, come conciliare l’attualità e argomenti meno popolari come la ricerca, non sempre valorizzata dai media e spesso trattata in modo poco corretto?

A Zapping il tema è necessariamente imposto dall’attualità dovendo commentare le notizie che fanno titolo nei TG. Alla scienza e alla cultura io ho voluto riservare la seconda parte, quella dopo le 20:30, per uscire dal loop dei tormentoni del giorno. Anche in questo caso ho tuttavia sempre privilegiato l’attualità.

Cosa farà ora?

Non appenderò certo la cuffia al chiodo e le opportunità sono diverse sia sul fronte radiotelevisivo sia nel giornalismo digitale che mi appassiona parecchio. Valuterò con interesse anche nuove proposte da parte del servizio pubblico. Non escludo poi di mettere la mia esperienza a disposizione della formazione dei giovani colleghi e del terzo settore.


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