“A 30 anni dall’incontro di Assisi: l’Islam educhi più chiaramente alla pace”. La dichiarazione non è di Matteo Salvini, ma è il titolo di un pezzo pubblicato su news.va, il portale delle notizie legato alla Santa Sede, che nei giorni scorsi a sua volta ha riportato un’intervista concessa da Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, a Radio Vaticana. Impagliazzo ha parlato dell’incontro “Sete di pace” che si terrà ad Assisi dal 18 al 20 settembre nel ricordo della Giornata di preghiera delle religioni per la pace convocata da Giovanni Paolo II nella città di San Francesco trent’anni orsono.
Impagliazzo parte dicendo che “(…) i religiosi che noi chiamiamo ad Assisi, saranno quest’anno chiamati a confrontarsi su questi temi e, soprattutto, sul tema del valore di continuare a pregare per la pace, di farlo di più, con più forza e con più insistenza”. Ma poi dice dell’Islam che, pur essendo “una religione di pace nei suoi libri sacri”, ha “un problema nel senso che all’interno di certi Paesi, che si definiscono islamici, sono nati gruppi terroristici che stanno seminando il terrore”. E rincara la dose: “Quindi noi dovremo, anzitutto, chiedere ai nostri fratelli musulmani un impegno più forte e più chiaro su questo punto di desolidarizzazione completa della violenza da ogni tema religioso”. Poi allarga il tiro: “le religioni devono fare della predicazione di pace e dell’educazione alla pace un elemento molto più forte di quello che è stato finora. Devono smetterla di parlare sempre con un linguaggio poco chiaro su questo tema, ma essere molto più forti proprio sul tema della pace”.
Papa Francesco non parteciperà a quest’incontro, pur essendo presente ad Assisi il 4 agosto per la Festa della Perdonanza. Impagliazzo però promette: “Certamente noi sentiamo la sua presenza, che sarà testimoniata in qualche modo, come c’è stato annunciato (…), ma certo non con la sua presenza fisica”.
Certo, lanciare all’Islam la critica di doversi impegnare con maggiore forza in tema di pace è qualcosa che Oltretevere ha lasciato più di qualche monsignore perplesso. Che si domanda se sia stata opportuna quest’uscita, peraltro sugli organi stampa della Santa Sede. “E se i musulmani avessero qualcosa da rispondere? Se rievocassero le strumentalizzazioni del discorso di Ratisbona o per esempio episodi come la Battaglia di Lepanto? Anche il cattolicesimo ha avuto dei momenti non proprio di pace: andare a fare la critica agli altri forse è un po’ troppo”, dicono.
Ma forse è un rischio calcolato. Il Vaticano e Sant’Egidio, altrimenti detta “Onu di Trastevere”, collaborano da sempre a livello internazionale. E va detto che Sant’Egidio ha fatto molto, in passato, agendo con generosità su un dossier molto complicato come quello del rapporto tra il Vaticano e la Cina, dove Pechino perseguita i cattolici rimasti fedeli al Papa. Al punto da creare un rapporto particolare tra Sant’Egidio e la Curia romana, acutamente descritto dai funzionari americani nei cablo di Wikileaks: ecco qua il cablo 05VATICAN477_a secondo il quale: “Il Vaticano spesso usa la presenza di Sant’Egidio come un ballon d’essai su vari temi; se gli sforzi della Comunità falliscono o vengono attaccati, allora la Santa Sede può sfilarsi con facilità. Se invece le cose vanno bene, allora i diplomatici vaticani possono assumersi degli sforzi un po’ più formali di negoziazione”. Anche se “contrariamente a quanto scrivono i media, i legami tra la Santa Sede e la Comunità sono larghi, a volte anche tesi”. Parole del 18 maggio 2005 ma che descrivono bene un rapporto ormai quarantennale. Anche perché alla guida della Segreteria di Stato c’è oggi un uomo che già al tempo conosceva molto bene Sant’Egidio: il cardinale Pietro Parolin.
Insomma, sembra riproporsi il vecchio copione ben descritto dai diplomatici yankee: Sant’Egidio propone, il Vaticano dispone. O no?