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Perché contesto gli stress test dell’Eba

Banco Popular

Sembra veramente che sulla vicenda degli stress test e dei criteri dei salvataggi bancari sia diffuso un obnubilamento che traspare evidente dalla comunicazione istituzionale della Vigilanza unica. Si continua a ripetere che i test, i cui risultati si conosceranno domani alle 22, non sono un esercizio con promossi e bocciati e non portano meccanicamente alla richiesta di dotazioni aggiuntive di capitale. Ma è così arduo capire che la semplice informazione sui risultati delle prove, compiute con bilanci delle banche statici e sulla base di scenari decisamente improbabili, a prescindere dalla fissazione di una soglia minima di capitale, orienta comunque il mercato e le valutazioni, anche perché di tali esiti si terrà poi conto nello Srep, l’esercizio della Vigilanza unica che sarà completato entro l’anno?

È, questo, il modo di comunicare che Francoforte ha scelto, facendolo curare da qualche semplice funzionario, come emerge dalle cronache, per rispondere alle dure critiche che sono state rivolte alla sua comunicazione e a quella dell’European Banking Authority (Eba)? Quest’ultima ha curato i test nel modo peggiore e senza far tesoro delle aspre e diffuse critiche che le sono state mosse in occasione dello svolgimento di precedenti prove della specie; anzi, insistendo su alcuni aspetti, quale quello della staticità dei bilanci, che denunciano una cocciuta perseveranza nell’errore. Alla fine di questa vicenda, quando si dovranno trarre le somme, si dovrà concludere che la stessa sarà stata una prova, prima ancora che per gli istituti sottoposti ai test, per l’Eba e per la Vigilanza della Bce, una prova da entrambe non superata, con la conseguente esigenza, particolarmente evidente nell’Eba, di una dotazione aggiuntiva di competenza, esperienza, realismo, visione.

Comunque, verificheremo domani se e come l’informazione sui risultati in questione sarà accompagnata da spiegazioni valide e dalla precisazione del valore dei test come esercizi meramente ipotetici che vanno considerati insieme con molti altri strumenti propri della Vigilanza. Già oggi dovremo comunque sapere qual è la posizione del Supervisory Board della Vigilanza unica sul piano per il Montepaschi, che ora, da una progettazione nella quale è presente un intervento pubblico a condizioni di mercato in chiave precauzionale in materia di ricapitalizzazione, si trasformerebbe in un piano tutto privato che prevederebbe un ruolo importante di Jp Morgan nell’assorbimento della zavorra delle sofferenze e nella conseguente ricapitalizzazione. Non si capisce però quale sarebbe la funzione del fondo Atlante, la cui dotazione si è pensato in questi giorni di rafforzare con diversi apporti, a cominciare dalle risorse della Sga, la bad bank del Banco di Napoli, e da alcune casse previdenziali.

D’altro canto Jp Morgan, al di là della promozione o no di una bad bank per le sofferenze del Monte, non ha certo la bacchetta magica, per cui non è chiaro come riuscirebbe a rendere possibile, sia nel campo delle sofferenze sia in quello dell’aumento di capitale – che si prevede in 5 miliardi -, ciò che finora si è ritenuto impraticabile o di difficile realizzazione, né è chiaro quali sarebbero le eventuali contropartite di diverso genere richieste. Neppure sarebbe comprensibile un ridimensionamento del ruolo di Atlante dopo che su di esso si è decisamente puntato e, a tal fine, se ne è previsto il rafforzamento; a maggior ragione se ciò dovesse avvenire – ma non lo crediamo possibile – a vantaggio di una banca d’investimento internazionale. Se, poi, si pensa di avere a disposizione anche un piano B nel quale ritornerebbe il sostegno pubblico nell’eventualità che il piano A non funzionasse – ma, secondo i sostenitori, di questa riserva non si dovrebbe sapere perché, diversamente, si diffonderebbero sfiducia e perplessità nella prima opzione – più che una soluzione, una tale idea rischia di somigliare a un racconto kafkiano.

Tra le decisioni che oggi dovrebbe adottare la Vigilanza unica sul Montepaschi e gli esiti dei test di domani registriamo, dunque, confusione e indeterminatezza, quando, all’opposto, occorrerebbero certezze e trasparenza. Una prima conclusione che si può trarre a livello generale è che è stato un grave errore aver trasferito a Francoforte parti consistenti delle Vigilanze nazionali e averlo fatto non applicando il Trattato Ue con in suoi ben precisi paletti, ma facendo leva su un accordo intergovernativo, con la conseguenza che la crisi che si è dovuto affrontare ha messo subito in evidenza i limiti istituzionali, funzionali, organizzativi ed operativi della struttura. Ex malo bonum: è sperabile che quanto è accaduto e sta accadendo in questo campo serva da dura lezione che spinga a rivedere il funzionamento della Vigilanza e tutta la materia degli aiuti di Stato.

(Pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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