E’ un mondo complesso quello determinato dalle nuove sfide tra intelligence e terrorismo.
Ma non basta. Questa nuova fase della guerra delle reti è una sfida asimmetrica in cui il piccolo che ha paura del grande si trasforma nel grande che ha paura del piccolo. Golia ha paura di David, come dimostrano gli attentati dei lupi solitari e delle celle senza controllo. Dopo gli ultimi episodi di Dacca o di Nizza, complice la radicalizzazione e la velocità generata dalla Rete, è impossibile controllare tutti gli individui potenzialmente pericolosi.
Ma, anche se sbandiamo di fronte a quello che sempre più velocemente succede, dobbiamo reprimere l’istinto di attaccarci ai freni, magari diminuendo i nostri livelli di libertà. Controllare la sbandata senza frenare. Perdere il controllo per governare il flusso. Dobbiamo stare nella rete, superando le logiche nazionali e individuali (ognuno di noi è coinvolto) in nome di un coordinamento che apprende altrettanto velocemente. E’ come quando agisce il nostro sistema immunitario: non riesce a prevenire tutte le malattie ma impara da esse e riesce a limitare i rischi che comportano perché si attivano tutte le cellule sane del sistema.
Tanto, per combattere il “cigno nero” e la velocità, il controllo non basta: i problemi dell’intelligence dopo gli ultimi attentati lo dimostrano. E’ necessario abbandonare l’illusione di poter impedire le minacce. Qui sta il paradosso forse più pericoloso di questa fase: più siamo tutti strettamente connessi, più condividiamo la conoscenza sul Web, più viviamo in sistemi aperti e innovativi e meno siamo sicuri. Le interconnessioni sono piattaforme che diffondono non solo i flussi positivi ma anche quelli negativi.
E’ l’avvento dell’era della vulnerabilità, un nuovo atto della guerra delle reti. Una nuova forma di guerra dove il potere è governare i flussi attraverso la capacità di vedere prima degli altri le connessioni. Il vero potere del futuro.
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