Il Paese che aveva lanciato l’idea della tolleranza zero, cioè del rigoroso rispetto della legalità quale premessa sociale per vivere tutti meglio e al sicuro, si sta trasformando nella nazione dell’intolleranza zero. Adesso, e da troppo tempo, odio chiama odio negli Stati Uniti, dove pure da otto anni i cittadini hanno fatto la scelta esemplare di eleggere un presidente nero, Barack Obama, per la prima volta nella loro storia. Coronando, così, il sogno della pacifica e paziente integrazione che Martin Luther King pagò con la vita il 4 aprile 1968.
Invece è come se all’improvviso la moviola fosse tornata indietro di cinquant’anni, per farci rivivere scene di violenza inaudita. Sia quando poliziotti uccidono inermi cittadini dalla pelle scura – l’ultimo episodio ieri, a Houston -, sia quando presunti vendicatori degli afroamericani sparano ad altrettanto innocenti agenti bianchi ammazzandoli uno dopo l’altro: e ancora sconvolge il caso dei cinque poliziotti assassinati da un cecchino ed ex soldato a Dallas. Dallas, quasi l’eterno ritorno, la città del Texas a cui la memoria dell’universo assocerà per sempre l’omicidio del presidente John F. Kennedy il 22 novembre 1963.
A sorpresa, e quando meno te lo aspetti, perché l’America ha fatto passi da gigante rispetto agli anni dell’odiosa segregazione, riesplode un conflitto feroce, ma da non generalizzare. La stragrande maggioranza del popolo americano, bianco e nero, è del tutto estranea e ostile a questa violenza dilagante contro il più debole e alla logica dell’occhio per occhio. Ma tanti lutti e tanta rabbia affondano in pregiudizi radicati e in una facilità di procurarsi armi e fucili come se fossero gomme da masticare. Il Far West sembra uscire dal grande schermo di Hollywood per diventare un possibile richiamo della vita reale: il regolamento di conti che il cittadino, e talvolta perfino il rappresentante di un’istituzione importante come quella della polizia, può fare da sé in nome delle più disparate e spesso disperate ragioni. Ma l’intolleranza zero è l’opposto dell’America accogliente e capace di dare a chiunque un’opportunità di crescita e di felicità. L’America che spera, quella che il mondo ama, è il contrario dell’America che spara. La sua forza affascinante si riassume nella bandiera che sventola ovunque e che tutti gli americani onorano. La riscoperta di quest’America, ecco il compito che aspetta Hillary Clinton o Donald Trump, i successori di un Obama indebolito e “sconvolto dall’orrore”.
(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)