L’aria della convention repubblicana, che si aprirà lunedì a Cleveland, e l’attesa dell’annuncio, ormai imminente, del vice spingono in alto nei sondaggi Donald Trum, che, secondo l’Università di Quinnipiac, è ora in vantaggio in due degli Stati chiave di Usa 2016, la Florida e la Pennsylvania.
In Florida, Trump ha il 42 per cento delle preferenze, la sua rivale Hillary Clinton il 39 per cento; in Pennsylvania, il 43 per cento contro il 41 per cento. Il mese scorso, Hillary era avanti, rispettivamente, di otto punti e di uno. Nell’Ohio, altro Stato chiave, i due candidati sono dati pari al 41 per cento. Considerati i margini di errore dei rilevamenti, tutti questi Stati sono al momento in bilico.
Il buon momento di popolarità del candidato repubblicano è confermato da un altro sondaggio che, a livello nazionale, lo vede staccato di soli tre punti dalla rivale democratica: 42 per cento a 39 per cento. A marzo, il rilevamento McClatchy-Marist dava l’ex first lady in vantaggio di nove punti, 50 a 41.
I dati sembrano inoltre confermare che Trump, a fare baruffa, ci guadagna. In questi giorni, è protagonista di uno scontro a parole aspro con un giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, Ruth Bader Ginsburg, nominata dall’allora presidente Bill Clinton nel 1993 e portabandiera di tutte le cause progressiste.
La Ginsburg, 82 anni, ha avuto sortite del tutto inusuali per un giudice supremo: in dichiarazioni alla stampa, ha detto che Trump è “un impostore”, “non ha consistenza”, “dice la prima cosa che gli salta in mente”; e ha pure criticato i media per non averlo messo sotto pressione perché pubblicasse la propria dichiarazione dei redditi. Se il magnate vincesse le elezioni, la Ginsburg non s’immagina che cosa potrebbero diventare gli Stati Uniti e progetta di andare a vivere altrove.
Trump ha bollato tutte queste sortite come “altamente inappropriate”: della Ginsburg, ha detto che “la sua testa se n’è ormai andata” e l’ha invitata a dimettersi “quanto prima” (ma i giudici supremi sono nominati a vita). E ancora: la Ginsburg è “un disonore per la Corte” e dovrebbe chiedere scusa ai suoi colleghi. Anche i leader repubblicani sono insorti: per una volta, non faticano a condividere la posizione del loro candidato.
Che, in effetti, questa volta tutti i torti non li aveva. La stessa Ginsburg, che è spirito libero, oltre che critico, s’è accorta di avere esagerato, rompendo l’imparzialità sacrale della Corte Suprema, e s’è detta “dispiaciuta” d’avere definito Trump “un truffatore”, oltre a tutto il resto.