A distanza di quasi 48 ore dal fallito golpe in Turchia, la tensione fra Ankara e Washington continua a salire e la resa dei conti nei confronti dei “traditori” sembra inarrestabile: «Ci sono circa 6 mila arresti. Continuiamo a fare pulizia», ha spiegato nella giornata di ieri il ministro della Giustizia turco, Bekir Bozdag.
LA FIGURA DI ERDOĞAN RAFFORZATA
In questo quadro, ancora caotico, una cosa è certa: la figura di Recep Tayyip Erdoğan ne esce rafforzata, almeno sul piano interno. «Nel breve periodo, sull’onda emotiva del momento, il presidente turco risulterà più forte sia agli occhi degli oppositori che a quelli dei suoi cittadini, che sono scesi in piazza per difendere la democrazia», spiega a Formiche.net Marco Di Liddo, analista del Centro Studi Internazionali (Cesi). «Una popolarità – aggiunge – che utilizzerà strumentalmente per esautorare i suoi oppositori, a cominciare dai Gulenisti. Ma sul medio periodo dovrà, in ogni caso, fare i conti con coloro che covano rancore contro di lui».
I RAPPORTI INTERNAZIONALI
A livello internazionale Erdoğan «ha sfruttato il fatto di essere stato eletto democraticamente», spiega Di Liddo. Certamente ci sarà maggiore distacco dal mondo occidentale, «ma il dialogo con le monarchie del Golfo, con Israele e con la Russia continuerà», assicura l’analista del Cesi. «Non tutto il mondo gli volterà le spalle. Non dimentichiamo che la Turchia gioca un ruolo fondamentale per quel che riguarda la crisi in Libia o la gestione dei migranti, ad esempio».
Rispetto all’Unione Europea, invece, «Erdoğan si sentirà legittimato ad agire in maniera univoca. Sul fronte della crisi siriana farà in modo di mandar via Assad e impedirà ai curdi di acquisire importanza».
In linea generale, quello che il presidente turco dovrà fare sarà «ripulire la sua immagine per far dimenticare quei dossier interni che svelano un rapporto a dir poco ambiguo con lo Stato Islamico».
IL DIFFICILE DIALOGO CON GLI STATI UNITI
Restano comunque molto tesi i rapporti con gli Stati Uniti a causa della chiusura della base aerea di Incirlik e del delicato “affaire Gulen”. Ma la verità, spiega l’analista del Cesi, è che tra Ankara e Washington in generale «non c’è una grande sintonia». «Obama, la cui personalità liberal è agli antipodi rispetto a quella del presidente turco, profondamente conservatore, non ha mai accettato la conduzione autocratica di Erdoğan». Una guida caratterizzata «dalla mancanza di dialogo con Washington, dalla linea anti-curda e dalle connivenze con gli ambienti jihadisti».
IL RAPPORTO (INDEBOLITO) CON LA NATO
E se – dopo i fatti di venerdì – l’ipotesi di ingresso nell’Unione Europea diventa sempre meno realizzabile, si configura molto complesso anche il rapporto con la NATO. «Se il fallimento del tentativo di golpe ha tolto l’Alleanza Atlantica da un grosso imbarazzo, l’approccio di Erdoğan stride in maniera eclatante con i principi che regolano la NATO», spiega Di Liddo. «Riflessi negativi ce ne saranno perché l’Alleanza non ha più fiducia nel Paese. I militari turchi non sono più considerati, come in passato, i bastioni del laicismo».
NON C’È UNA REGIA UNICA DIETRO IL GOLPE
Rispetto al ruolo dell’imam Fethullah Gulen nell’organizzazione del golpe, Di Liddo è molto chiaro: «Gulen si sente certamente tradito da Erdoğan, così come le forze armate. Ma non si può in alcun modo parlare di una regia unica dietro il tentativo di colpo di Stato di venerdì. Le opposizioni sono tante e sono rintracciabili addirittura nel partito presidenziale, l’AKP».
Per l’analista del Cesi è da esclude l’ipotesi della regia statunitense: «È assolutamente inverosimile. Gli Usa sono concentrati su ben altri dossier e, con l’avvicinarsi delle presidenziali, non lascerebbero mai al successore di Obama un’eredità così pesante». È da depennare anche l’ipotesi del golpe “fasullo”, architettato quasi a tavolino dallo stesso presidente turco: «Erdoğan è in difficoltà ma ha presa totale sul Paese. Ha assoluto controllo degli apparati più importanti dello Stato. Per raggiungere i suoi obiettivi avrebbe potuto tranquillamente fare ricorso a strumenti autocratici e alla strategia della tensione, con un uso estensivo del potere contro l’opposizione e la comunità curda».
Per l’analista l’ipotesi più probabile è che Erdoğan «conoscesse le intenzioni dei futuri golpisti e che li abbia lasciati agire, dopo aver verificato la scarsa pericolosità della loro azione». Carta che potrebbe aver utilizzato per legittimare e accelerare la repressione degli oppositori.
LE RIPERCUSSIONI SULLA SOCIETÀ CIVILE
Cosa accadrà, dunque, in Turchia alla luce di tutto questo? Quali ripercussioni ci saranno sulla società civile? Per Di Liddo «il processo di islamizzazione, mai sopito, si rafforzerà ulteriormente permeando tutti gli aspetti della società, dalle istituzioni alla politica, giustificando uno sradicamento del vincolo di laicità». La società civile, però, «troverà altri modi di reagire, cercherà altre vie per esprimere il dissenso». Perché, assicura l’analista, «il laicismo non è morto» e per i cittadini sarà l’occasione buona per sovvertire lo status quo.