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La nuova guerra Usa-Cina a colpi di lavatrici

Non solo acciaio. Il Dipartimento del Commercio americano ha aperto una vera e propria guerra al dumping praticato da Pechino intentando dodici cause contro la Cina, tre delle quali sono nell’ultimo mese. Un colpo di coda dell’amministrazione Barack Obama, dopo otto anni di relativo silenzio, che va in scia con quanto sia Hillary Clinton che Donald Trump hanno promesso contro le pratiche sleali dell’ex Celeste Impero: “Prima di tutto bisogna difendere il libero commercio e le aziende americane”.

L’ultimo caso è destinato certamente a far rumore e riguarda questa volta le lavatrici prodotte in Cina e vendute sottocosto negli States. A sollevare la richiesta con una petizione molto dettagliata è stata il colosso Whirlpool che ha documentato il dumping della rivali sudcoreane Samsung Electronics e LG Electronics in Cina. I due competitor avrebbero conquistato una quota di mercato sempre più ampia nel territorio statunitense  (+31%, in crescita del 6% dal 2014 al 2015) vendendo lavatrici a un prezzo inferiore rispetto al costo sostenuto per produrle. Whirlpool in particolare sostiene che qualche anno dopo la decisione del Dipartimento americano del Commercio di imporre tariffe del 9% e 13% per delle lavatrici realizzate dai due rivali in Messico e Corea del Sud, la nuova base logistica del dumping sia diventata proprio la Cina con i suoi stabilimenti. E da qui – come riporta il China Daily – sarebbe partita la nuova invasione di elettrodomestici venduti a prezzi stracciati che hanno finito per danneggiare la società del Michigan.

Così il Dipartimento del Commercio americano, dopo un’analisi durata sette mesi, ha verificato che le vendite sottocosto delle lavatrici oscillano dal 48% al 110% causando un notevole danno all’azienda americana, basti pensare che le importazioni di questi prodotti provenienti dalla Cina sono stati stimati a circa 9 miliardi di dollari, in base all’ultima rilevazione nel 2015 sempre a cura del Dipartimento del Commercio.

Da parte sua il governo di Pechino ha reagito chiedendo di rispettare il libero mercato minacciando un ricorso al Wto per pratiche protezionistiche che stanno di fatto danneggiando i rapporti tra le due superpotenze. Facendo anche capire che la strategia cinese sul mercato americano è semmai un’altra e ben rappresentata dal colosso Haier che recentemente ha acquistato per 5,4 miliardi di dollari il simbolo Usa degli elettrodomestici, ovvero la divisione appliances di General Electric.

Ma l’amministrazione Obama sembra proprio non sentirci e, quasi contemporaneamente alla decisione sulle lavatrici, ha annunciato che manterrà per la quarta volta consecutiva delle misure antidumping tra il 10,90% e il 30,69% sull’importazione di tubi d’acciaio in lega e al carbonio, utilizzati prevalentemente nell’industria estrattiva fabbricati proprio in Cina (le misure riguardano in modo differenze anche Brasile, Giappone e Thailandia).

Un provvedimento partito addirittura nel 2008 quando le importazioni da Pechino di questi prodotti ammontava a 2,6 miliardi di dollari. Il provvedimento veniva allora caldeggiato dai produttori e dai sindacati americani del settore che lamentavano la pratica commerciale sleale e la perdita di migliaia di lavoro negli Stati Uniti.

Adesso a distanza di anni e nonostante le sanzioni, nulla sembra cambiato e quindi la riproposizione del dazio per l’amministrazione Obama è quasi un atto dovuto. Anche se queste misure sembrano quasi delle armi spuntate contro “la fabbrica del mondo” che nonostante le varie sanzioni non sembra proprio destinata a desistere.


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