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La Nato, Sigonella, Craxi e Spadolini. Cosa successe davvero 31 anni fa

craxi

Il ritorno della base militare di Sigonella sulle prime pagine dei giornali per l’uso che il governo è disposto ad autorizzare nelle operazioni di bombardamento in corso sulle postazioni dell’Isis in Libia ha fatto riaprire le polemiche di 31 anni fa. Quando in quella base della Nato si consumò un clamoroso braccio di ferro fra gli Stati Uniti e l’Italia: i primi guidati dal presidente Ronald Reagan alla Casa Bianca e la seconda a Palazzo Chigi da Bettino Craxi. Che la notte dell’11 ottobre 1985 diresse però l’operazione, al telefono, dalla sua abituale residenza romana dell’Hotel Raphael: la stessa dalla quale solo 8 anni dopo, da segretario socialista coinvolto nella vicenda giudiziaria di Tangentopoli, sarebbe uscito fra proteste, insulti, lancio di monetine ed altro ancora perché la Camera aveva appena accolto solo alcune, le meno gravi, delle richieste della magistratura di processarlo. Come si fa presto a scendere dagli altari alla polvere.

Sugli altari quella notte di ottobre del 1985 Craxi fu portato anche dall’opposizione comunista, che pure l’odiava a morte anche per essere stata appena sconfitta da lui nel referendum contro i tagli antinflazionistici apportati alla scala mobile dei salari. Si guadagnò gli applausi del Pci a causa del no detto per telefono a Reagan. Che gli aveva chiesto di lasciare catturare dalle forze speciali americane appena sbarcate a Sigonella gli autori e il capo dell’operazione palestinese di dirottamento, nelle acque del Mediterraneo, della nave di crociera italiana Achille Lauro. Dove era stato ucciso –unica vittima del dirottamento- e buttato a mare con la sua carrozzella da paralitico il cittadino ebreo americano Leon Klinghoffer. La notizia della cui morte non era ancora nota quando Craxi, d’accordo con l’allora ministro degli Esteri Giulio Andreotti, aveva preferito una soluzione negoziale a quella militare, predisposta dal ministro della Difesa Giovanni Spadolini, del sequestro della nave. E ciò per mettere al sicuro gli oltre duecento passeggeri, in maggioranza italiani, e l’ancor più numeroso equipaggio.

Il negoziato era stato condotto con Arafat, il capo del movimento palestinese di composizione assai complessa e contraddittoria, e col governo dell’Egitto, nelle cui acque era finita ancorata la nave italiana. Le trattative si erano concluse con l’impegno che i dirottatori, accompagnati dal capo dell’operazione, Abbu Abbas, intervenuto su di loro per disattivarla, avrebbero potuto raggiungere impuniti su un aereo egiziano la Tunisia, dove si trovava il quartier generale di Arafat. La vicenda insomma sarebbe stata regolata all’interno dell’intricato movimento palestinese.

Ma quell’aereo egiziano fu intercettato e dirottato dai caccia americani sulla pista di Sigonella, con i reparti speciali statunitensi pronti a catturarne i passeggeri per farli processare negli Stati Uniti per l’uccisione di Klingoffer, nel frattempo resa nota. Ebbene, Craxi ordinò ai Carabinieri di impedire la cattura dei dirottatori della nave. Che, una volta in Italia, sarebbero stati qui processati. Reagan non la prese bene. Il suo ambasciatore a Roma protestò duramente mentre il ministro della Difesa, condividendone le rimostranze, annunciava a Craxi e al presidente della Repubblica le sue dimissioni, prenotando quindi una crisi di governo.

Da Sigonella l’aereo egiziano, sempre inseguito dai caccia americani, si trasferì a Ciampino, dove gli autori del sequestro della nave furono identificati e consegnati alla magistratura. Il loro capo, provvisto peraltro di un passaporto diplomatico tunisino, rimase invece a bordo per essere poi trasportato dallo stesso aereo a Fiumicino, dove un velivolo di linea iugoslavo in pista era pronto a imbarcarlo per fargli lasciare l’Italia.

Gli americani, che avevano tentato in quelle ore di avviare una pratica di estradizione negli Stati Uniti, non smisero mai di dare la caccia ad Abu Abbas, nome di battaglia di Muhammad Zaydan, catturandolo nel 2003 dopo la caduta di Saddam Hussein in Irak, dove morì l’anno dopo, nelle mani dei carcerieri, per ragioni naturali mai credute dai palestinesi.

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La versione orgogliosa della notte di Sigonella, come volontà e capacità di conservare l’autonomia nei rapporti di alleanza con i potenti alleati d’oltre oceano, è stata contestata in due articoli su ItaliaOggi dall’ex magistrato Domenico Cacopardo. Che considera invece la vicenda una “vera infamia”, frutto della politica mediorientale “del doppio binario” seguita dall’Italia “di Moro”, morto già nel 1978, ”di  Craxi e di Andreotti”. La politica cioè del doppio gioco, a parole solidale con Israele e gli Stati Uniti ma nei fatti collusiva con l’antisemitismo e l’antiamericanismo dei palestinesi.

Non condivido questo giudizio di Cacopardo, cui riconosco tuttavia l’onestà di avere precisato lui stesso che nelle ore e nei giorni di Sigonella egli era collaboratore di Spadolini. Il quale contestò anche pubblicamente le decisioni del governo cui partecipava. Ma di cui continuò a fare parte, rinunciando alle dimissioni, per il chiarimento rapidamente intervenuto fra Reagan e lo stesso Craxi, con tanto d’incontro fra i due alla Casa Bianca. Un chiarimento preceduto da uno scambio di lettere e dal riconoscimento, da parte di Reagan, di un errore di valutazione procuratogli dall’interprete americano nella telefonata con Craxi durante le ore convulse di Sigonella. Spadolini non poteva certo essere più reganiano di Reagan. Sarebbe stato un imbarazzante eccesso di zelo.

D’altra parte, Cacopardo converrà che se non fosse stato per Craxi, vilipeso nelle piazze dai militanti del Pci, il riarmo missilistico della Nato dopo lo sbilanciamento dei rapporti di forza in Europa a favore dell’Unione Sovietica non ci sarebbe stato prima dei fatti di Sigonella. Un riarmo, completato in Italia con i missili schierati a Comiso, che avrebbe poi provocato il collasso dell’Urss. Altro che “infamia” e “doppio binario” nella partecipazione italiana all’Alleanza Atlantica.

Se poi il collasso dell’Urss fu un affare per l’aggrovigliata situazione del Medio Oriente, dove i sovietici avevano avvertito prima degli occidentali le insidie del fanatismo islamico, in Afganistan e dintorni, è un altro discorso. Che meriterebbe un approfondimento al quale gli storici si sono curiosamente sottratti sino ad ora. Eppure proprio da Sigonella, 31 anni dopo la notte dell’11 ottobre 1985, potrebbero partire le operazioni più decisive contro le postazioni dello Stato Islamico in Libia.

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