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Banco Popolare, Unicredit e Mps. Tutte le astruserie degli stress test

ANDREA ENRIA EBA

Il sipario è calato sugli stress test ma per i regolatori europei e internazionali resta aperta la sfida di dare maggiore certezza a banche e investitori sui requisiti di capitale degli istituti. È un tema centrale: senza certezza sul patrimonio le banche non possono pianificare l’attività e possono essere frenate nel credito; gli operatori non hanno elementi sufficienti per tornare a investire nel settore.

VARIABILITA’ E ARBITRARIETA’

La prova Eba ha confermato l’impressione di un’eccessiva variabilità e arbitrarietà nelle valutazioni sul capitale delle banche. Ci sono alcuni elementi che vanno in questa direzione. Basti pensare che in Europa l’orizzonte temporale di stress è di tre anni. Se solo l’Eba avesse scelto un periodo differente (per esempio due anni, come negli Usa), la situazione effettiva delle banche sarebbe stata identica ma il quadro sulla loro situazione patrimoniale sarebbe oggi totalmente differente. Per non parlare delle altre caratteristiche che hanno condizionato la prova, come la staticità dei bilanci, le ipotesi di shock idiosincratico, la mancata considerazione degli interessi sui crediti deteriorati.

IL NODO DEI REQUISITI

È secondario capire se le banche italiane siano state penalizzate o avvantaggiate rispetto alle altre. Il problema di maggior rilievo riguarda la scarsa previdibilità sui requisiti, ancora maggiore se si considera l’effetto combinato dell’attività di tutti i supervisori internazionali. Il risultato è che i mercati, come mostra anche l’andamento di ieri di Piazza Affari, continuano a temere sorprese e diffidano dei bilanci bancari, nonostante l’ingente rafforzamento degli ultimi anni.

IL CASO MPS

Si prenda il caso più vistoso dello stress test in termini numerici, quello di Mps, il cui capitale sarebbe negativo (-2,4%) nello scenario avverso. I risultati sono peggiorati rispetto allo stress test del 2014, nonostante la banca abbia completato a metà 2015 un aumento di capitale di 3 miliardi e l’anno scorso sia tornata all’utile. Nello scenario avverso del test 2014 il capitale a fine periodo post-stress era positivo e pari al 2,7% (-0,09% senza considerare il precedente aumento di 5 miliardi). Rispetto ad allora la situazione di Mps è apparsa peggiorata nonostante il miglioramento patrimoniale e reddituale del 2015. Nell’ultimo esame si è guardato all’eredità del passato e non alle prospettive future. Peraltro Mps nello scenario base (cioè quello atteso e non basato su ipotesi immaginarie) avrebbe un capitale del 12,2%, vicino a quello di Intesa e Ubi (12,8 e 13%). Insomma, il paesaggio cambia molto a seconda delle lenti utilizzate per fotografarlo.

L’ESEMPIO DEL BANCO POPOLARE

Un’altra perplessità riguarda la richiesta di capitale Bce da un miliardo per il Banco Popolare, che però nello scenario da tragedia dell’Eba manterrebbe comunque un capitale del 9% e nello scenario base avrebbe addirittura un indice del 14,6%, superiore persino a quello di Intesa. Bce ha chiesto al Banco più capitale per la fusione con Bpm, ma dallo stress test è invece emersa una situazione di tranquillità. Peraltro l’indice patrimoniale del Banco era anche largamente superiore anche al requisito minimo Srep fissato da Francoforte.

L’AZIONE DELLA VIGILANZA

In alcuni casi la Vigilanza Bce ha accelerato il rafforzamento delle banche. Ma la supervisione non si può misurare solo in termini di severità e velocità: una richiesta di capitale eccessiva, troppo rapida o non facilmente comprensibile può produrre conseguenze negative, soprattutto nell’immediato, e non solo per il credito. Per tornare all’esempio del Banco, è vero che dopo l’aumento l’istituto è più forte e l’aggregazione con Bpm partirà su basi più solide, ma è anche vero che i soci hanno pagato un conto salato e che di fatto il consolidamento del settore si è bloccato, contro gli stessi auspici della Bce.

DOSSIER SOFFERENZE

Un altro aspetto in cui la velocità è un fattore chiave riguarda lo smaltimento delle sofferenze. Se i crediti deteriorati rimangono troppo a lungo nei bilanci è un problema non solo per le banche, ma anche per l’economia. Il caso del Giappone lo dimostra. Ma allo stesso modo tempi troppo stretti possono causare svendite (contro cui si è schierato anche il presidente Bce Draghi) e volatilità sui mercati, come si è visto già dopo la lettera a Mps sui crediti deteriorati. L’esperienza degli ultimi anni ha mostrato che la vigilanza è più la ricerca di un giusto mezzo (nei modi e nei tempi) che una pressione univoca all’incremento immediato di capitale e coperture. È questo che rende particolarmente difficile il lavoro dei supervisori.

LE DIVERSE VISIONI

Un problema non secondario della supervisione europea è legato alle differenti visioni (e soprattutto i divergenti interessi) dei Paesi. L’impronta rigorista nordeuropea alla vigilanza è ancora più pericolosa se si considera che non si possono utilizzare risorse pubbliche per pulire i bilanci rapidamente (per esempio con bad bank) o per proteggere le banche in caso di necessità: una situazione che rende vulnerabile il settore a ogni tipo di informazione o anche in seguito a semplici voci o timori.

GLI SCENARI

In certi casi la vigilanza Bce ha mostrato negli ultimi mesi un atteggiamento più flessibile, in particolare sui requisiti Srep: ha promesso di non incrementarli e ha tolto la «guidance» dai vincoli patrimoniali veri e propri, depotenziando gli effetti degli stress test (inclusi appunto nella guidance) e rendendo più improbabili restrizioni a cedole e bonus. Ma in altre occasioni (come Mps e Banco) ha mandato segnali differenti. Nel frattempo gli stress test dell’Eba e le nuove regole del Comitato di Basilea hanno suscitato nuovi timori sull’adeguatezza del capitale delle banche, che pure è aumentato molto durante la crisi. Perciò ora, superati anche gli stress test, banche e investitori chiedono certezza e stabilità sulle regole patrimoniali e un’azione di vigilanza basata su criteri il più possibile oggettivi e prevedibili.

(Pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)


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