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Brexit: sbaglierò ma non ci credo…

Brexit

Dopo il referendum “consultivo” del 23 giugno scorso, è probabile (ma niente affato sicuro) che il Regno Unito formalizzi nei prossimi mesi la propria volontà di non essere più membro dell’UE. E’, anzi, potrebbe essere la cosiddetta Brexit.

E’, anzi, potrebbe essere perché solo la notifica al Consiglio Europeo della propria intenzione di recedere dall’UE può determinare l’inizio dei negoziati finalizzati a definire un accordo internazionale che attui in concreto il recesso di uno Stato membro e lo porti a non beneficiare delle libertà fondamentali del mercato unico (libera circolazione delle merci, dei lavoratori, dei servizi, dei capitali e dei pagamenti).

Della serie: basta chiacchiere. Le conseguenze della Brexit non sono affatto prevedibili e sono abbastanza fantasiose le ricostruzioni, qualitative e quantitative, effettuate in questo mese che ci separa dall’esito del referendum. Tutto dipenderà, infatti, dal contenuto dell’accordo che Regno Unito e UE riusciranno a raggiungere.

Senza dimenticare che, così come accade per il nostro Paese, quasi l’80% della normativa prodotta dai parlamenti nazionali è di derivazione comunitaria. Questo significa che sarà molto difficile uscire dalla UE dovendo, al contempo, modificare una parte significativa della legislazione interna. Per questo non è scontato, che il Regno Unito decida di procedere verso questo obiettivo.

Gli scenari sono, infatti, molteplici e complessi da interpretare. Se, ad esempio, dovessimo predire la cosiddetta “opzione norvegese”, dovremmo sapere che la Norvegia, assieme a Liechtenstein e Islanda, facendo parte dello Spazio Economico Europeo (SEE) dal 1994, accetta tutta la normativa UE pur potendone influenzare molto limitatamente la formazione. Altrettanto complessa sarebbe l“opzione svizzera” perché la Svizzera beneficia della libera circolazione, pur non facendo parte del SEE. Ancora più laterale l’”opzione turca” (difficile da perseguire nella fase attuale) dove la Turchia, candidata all’adesione, ha da decenni un accordo con la UE che consente la libera circolazione delle merci nei rispettivi territori.

Tutto questo ci deve far riflettere sull’effettivo interesse del sistema a rendere la Brexit effettivamente e pragmaticamente “reale”. Senza dimenticare che questi sono solo gli scenari probabilistici sui rapporti economici. Mentre sono i rapporti politici quelli più significativi per interpretare a 360° la Brexit.

Rumors di altissimo livello raccontano infatti che la Regina Elisabetta sia particolarmente irritata rispetto all’esito del referendum. Non perché non ne voglia rispettare l’esito popolare, ma per le conseguenze che potrebbe provocare. Che non sono quelle, pur ipotizzate, del cosiddetto “effetto domino”, rispetto al quale si possa verificare che altri Paesi UE si distacchino dall’Unione provocandone la progressiva disgregazione.

Della UE, a Sua Maestà importa il “giusto”. La vera paura della Regina è, invece quella, di essere ricordata come la persona sotto il cui mandato sovrano è avvenuta la disgregazione di quel Regno Unito che non da tantissimo ha faticosamente raggiunto la sua unità. E’ quella che potremmo definire l’”opzione day after”. Il giorno dopo la vera Brexit, Scozia, Irlanda del Nord e forse Galles potrebbero chiedere di uscire dal Regno Unito.

La stessa città di Londra, come anticipato da commentatori brillanti e consapevoli, potrebbe chiedere di avere uno statuto speciale come “area metropolitana”. Altro che le nostre finte città metropolitane, parenti povere delle provincie. Una Londra a statuto speciale con uno status da “quasi” paradiso fiscale attirerebbe capitali e società da tutto il mondo. Un paragone concreto: avete presente cosa è successo qualche anno fa con la Premier League?

Mettetevi nei panni della Regina. Sarebbe un caos in cui l’Inghilterra rimarrebbe solo una piccola provincia agricola e manifatturiera del sistema Mondo, senza nemmeno la capitale storica che, da sempre, ne è il simbolo. Praticamente un disastro che rimarrebbe negli annali e che macchierebbe i curricula della famiglia reale.

E’ per questo che l’ipotesi che mi sembra più realistica sia quella del “tanto rumore per nulla”. Si negozierà strenuamente, si otterranno benefici ulteriori a quelli già importanti che la Gran Bretagna ha e, alla fine, ci si chiederà tutti (nella UE come nel Regno Unito): a cosa serve uscire?

Una domanda che ha già in sé una risspota.

http://www.affaritaliani.it/politica/palazzo-potere/brexit-tanto-rumore-per-nulla-434289.html?refresh_ce


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