Fa un passo indietro e aspetta, Papa Francesco. Aspetta che la giustizia australiana faccia il suo corso in merito alle accuse di pedofilia mosse contro il cardinale George Pell, “ministro delle finanze” vaticano. Accuse datate attorno al 1978-’79, sulle quali sta indagando la polizia dello stato australiano del Victoria. La notizia delle indagini, per le quali il cardinale ha immediatamente protestato la sua più completa innocenza, è stata data dal programma tv australiano 7.30 dell’emittente ABC il 27 luglio scorso; nel corso della trasmissione sono state riferite le accuse di due ex studenti della scuola elementare St. Alipius di Ballarat (da dove proviene Pell), che hanno accusato il cardinale di aver giocato con loro nella piscina della scuola e di averli molestati.
Il cardinale ha parlato di “cospirazione” per sovvertire il cammino della giustizia, smentendo tutte le accuse rivoltegli, accusando la polizia del Victoria di aver spifferato la notizia ad ABC per danneggiare il cammino della giustizia e chiedendo a sua volta una controindagine. Ma il 28 luglio, durante un’intervista radiofonica, il comandante della polizia del Victoria Graham Ashton ha detto che le accuse al cardinale sono ancora una possibilità e che i suoi investigatori stanno aspettando il parere dell’Office of Public Prosecution (una sorta di Procura della Repubblica, N.d.R.) se proseguire o no nelle indagini. “È stata una lunga indagine… ci sono un sacco di indizi da verificare”, ha detto Ashton. Che ha spiegato come ancora non si è deciso se inviare gli inquirenti australiani a Roma oppure no. E per il quale no, la polizia non ha spifferato niente alla rete tv, ritenendo sufficientemente chiaro il fatto che le fonti del servizio di 7.30 sono le presunte vittime.
Su tutto questo le parole del Papa nella sua conferenza stampa di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù in Polonia il 31 luglio scorso: “Le prime notizie arrivate erano confuse. Erano notizie di quarant’anni fa e neppure la polizia ci aveva fatto caso in un primo momento. Una cosa confusa”. Ma, una volta avviatasi la macchina della giustizia australiana, dice il Pontefice: “Non si deve giudicare prima che la giustizia giudichi. Se io dessi un giudizio a favore o contro il Cardinale Pell, non sarebbe buono, perché giudicherei prima. E’ vero, c’è il dubbio. E c’è quel principio chiaro del diritto: in dubio pro reo. Dobbiamo aspettare la giustizia e non fare prima un giudizio mediatico, perché questo non aiuta”. Poi precisa: “Il giudizio delle chiacchiere, e poi? Non si sa come risulterà. Stare attenti a quello che deciderà la giustizia. Una volta che la giustizia ha parlato, parlerò io”.
Con un prudente passo indietro, Francesco ha dunque lasciato Pell da solo. Mani libere: se sarà condannato, procederà in un modo; se sarà assolto, il risultato sarà ovviamente differente. Francesco è l’uomo che ha voluto e chiamato Pell in Vaticano, per ricordarlo ai lettori: e sa che il cardinale è già stato sentito (ma non indagato) dalla Royal Commission australiana sugli abusi dei preti pedofili nella primavera scorsa. Adesso aspetta: certo, per un Papa pronto a dare il via libera ai magistrati vaticani per il processo Vatileaks 2 (risoltosi in un nulla di fatto), adesso è tempo della prudenza. E dello stile Bergoglio: lasciar cuocere l’interessato nel proprio brodo fino al momento opportuno. Nel frattempo, in Australia il quotidiano The Age ha chiesto pubblicamente al cardinale di farsi da parte, almeno finché dureranno le indagini; mentre i genitori con bambini iscritti ad una scuola elementare cattolica di Mentone, sobborgo di Melbourne, hanno chiesto la rimozione di un ritratto di Pell dalla hall dell’istituto.