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Ecco costi e ricavi delle campagne elettorali di Trump e Clinton

Hillary Clinton incassa un po’ di più di Donald Trump, ma spende molto di più del magnate, i cui conti continuano a essere poco trasparenti (e di rendere pubblica la dichiarazione dei redditi non se ne parla proprio). E’ una tendenza che va avanti dall’inizio della corsa alla presidenza: Hillary ha complessivamente speso 319 milioni di dollari, Trump “appena” 89,5.

Le indicazioni, non sempre chiare, emergono dai conti di luglio delle due campagne, da cui si era già appreso che la candidata democratica aveva raccolto 90 milioni contro gli oltre 80 del candidato repubblicano – per entrambi, cifre record, anche grazie alle convention dei rispettivi partiti – .

Secondo quanto reso noto dalle due campagne alla commissione elettorale federale, l’ex first lady ha speso a luglio quasi 50 milioni, di cui 26 per produrre e trasmettere spot in tv e online, cinque per pagare il suo staff di 705 persone (Trump ne ha solo 70) e due per viaggi.

Trump, che a luglio ha speso più che mai, raddoppiando le cifre di maggio e giugno, s’è fermato a 18,4 milioni, poco più di un terzo della rivale. Inoltre, come riesce a fare spesso, i soldi che escono dalla campagna tornano in qualche modo nelle sue tasche, o finiscono in quelle di familiari e amici.

Così, 8,4 milioni di dollari sono andati all’azienda di web-design Giles-Parscale, il cui presidente, Brad Parscale, è il direttore della campagna digitale di Trump, con la missione di migliorare la raccolta di fondi online. E 7,7 milioni sono serviti a pagare sue aziende o membri della sua famiglia coinvolti nella campagna.

Trump ha speso 3,2 milioni per i viaggi e 1,8 per i gadget che regala ai suoi sostenitori. E’ infine strano che lo showman continui a pagare l’ex manager della sua campagna Corey Lewandowski: 20 mila dollari in luglio, dopo che era stato scaricato per il suo carattere rude e assunto dalla Cnn come commentatore politico (con analisi sempre a favore di Trump).

Se i conti della campagna non sono proprio limpidissimi, ma sono almeno pubblici, come d’obbligo, quelli personali del candidato repubblicano restano “top secret”. La nuova manager della sua campagna, Kellyanne Conway, è stata costretta a un brusco dietrofront su questo punto: fino alla primavera, quando lavorava per un rivale di Trump, il senatore Ted Cruz, chiedeva che il magnate fosse trasparente e diffondesse la sua dichiarazione dei redditi.

Ora, invece, non lo ritiene più necessario, almeno finché non sarà stata chiusa l’ispezione fiscale in corso: ”Ho imparato che questa ispezione fiscale è una faccenda seria”, ha dichiarato alla Abc, allineandosi così alla posizione del suo boss. E dai tempi della rielezione di Nixon che i candidati alla presidenza pubblicano la loro dichiarazione dei redditi, pur non avendone l’obbligo.

(post tratto dal blog di Giampiero Gramaglia)


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