Quando si parla di sharing economy nel settore “dell’ospitalità”, è Airbnb il primo nome che viene in mente, sia perché la start up è ormai valutata 30 miliardi di dollari sia perché è al centro di proteste, cause legali e nuove regolamentazioni (a volte anche molto severe) nelle città di tutto il mondo per questioni che vanno dal pagamento delle tasse alla registrazione di adeguate licenze. Airbnb viene accusata persino di causare penuria di immobili da affittare a lungo termine per i residenti, con conseguente impennata dei prezzi sul mercato. Formiche.net ha già raccontato di come la start up americana sta cercando di rendere la sua immagine più gradita alle amministrazioni cittadine tramite un pool di consulenti scelti tra ex sindaci di grandi città (tra cui Francesco Rutelli).
Ma l’home sharing non è solo Airbnb e le aziende attive in questa industria sono in realtà tante e con modelli diversi: dal noto HomeAway per l’affitto di case vacanza alla innovativa NightSwapping che non si basa sul pagamento di denaro ma sullo “scambio di Notti”. Vediamo come funzionano queste proposte.
DAL DIVANO ALLA CASA VACANZE
Con Airbnb chi possiede una casa può affittare sia l’intero immobile che una o più stanze a chi è in viaggio per lavoro o vacanza al prezzo che vuole (in base ovviamente a camere simili in aree simili); Airbnb trattiene una percentuale, anche perché i pagamenti sono gestiti direttamente e solo dalla sua piattaforma. Il tipo di servizio proposto da Airbnb è stato considerato da subito un diretto concorrente per l’industria alberghiera tradizionale.
Anche su HomeAway c’è una transazione in denaro: si paga per affittare un posto per dormire, solitamente seconde case messe a disposizione dai proprietari per le vacanze altrui, quindi anche per periodi relativamente lunghi, per guadagnare dal proprio immobile (su Airbnb più che case vacanze si trovano invece camere o appartamenti da affittare anche solo per pochi giorni). L’azienda ha un database di un milione di alloggi in 190 paesi. L’anno scorso è stata comprata per 3,9 miliardi di dollari da Expedia, che vuole così competere meglio anche nel settore dell’home sharing.
Sul versante opposto si colloca Couchsurfing, una piattaforma che fa semplicemente incontrare persone che cercano posti dove dormire quando viaggiano e persone che mettono a disposizione una stanza, un letto o anche solo un divano. Tutti si possono registrare gratuitamente (ma gli utenti definiti “verificati” pagano una quota annuale) e non si paga niente per dormire in casa d’altri.
NightSwapping prende spunto dal baratto con il concetto di far viaggiare gratuitamente le persone nel mondo scambiando notti. Non c’è dunque passaggio di denaro tra host e ospite, ma viene accumulato un credito di “Notti” in modo che il baratto sia più equo: chi mette a disposizione una camera della propria casa ha ovviamente un credito di notti inferiore a chi offre l’intera dimora. A garanzia di chi viaggia e di chi ospita, il servizio è assicurato grazie a una partnership con Allianz Global Assistance (per questo usare la piattaforma richiede una quota di 9,90 euro): così l’host ha una copertura sulla casa fino a 450mila euro per danni materiali, immateriali e corporali, mentre l’ospite ha la garanzia di risistemazione se l’alloggio non è conforme all’annuncio e le spese di rimpatrio prese a carico. Il fatto che non ci siano scambi di denaro fra i membri permette anche a chi non è proprietario di casa, ma solo affittuario, di iscriversi alla piattaforma senza problemi legali. Volete provare ma non volete ancora mettere a disposizione una vostra camera o casa? Si può fare, ma in questo caso pagate l’alloggio per una cifra compresa tra 7 e 49 euro.
LOVE STORY CON GLI INVESTITORI
Nightswapping è una società francese operativa dal 2015. Ha da poco chiuso un round di finanziamento di 2 milioni di euro da investitori tra cui 6ème Sens Participation, Duval Group, la banca di investimento BPI e alcuni business angels. In tutto ha messo insieme 4 milioni di euro di finanziamenti negli ultimi due anni. La community di Nightswapping conta 180mila membri in più di 160 Paesi.
Nightswapping cerca di proporsi come alternativa peer to peer ai concorrenti basati sullo scambio di denaro e, secondo gli analisti, la strategia non è sbagliata: se da un lato proposte come questa restano (per ora) una nicchia rispetto ai colossi, dall’altro aggirano molti degli ostacoli regolatori e fiscali incontrati da Airbnb. Inoltre, la collaborazione della start up francese con Allianz non è casuale. Problemi di case vandalizzate o di host ben poco affidabili sono stati riportati con alcuni servizi dell’home sharing e ora le società del settore cercano di essere molto più attente alle questioni di sicurezza.
Couchsurfing è nata a San Francisco; il sito, lanciato nel 2004, conta 12 milioni di utenti in oltre 200.000 città del mondo. Non tutti potranno sentirsi attratti dall’idea di andare a dormire sul divano di uno sconosciuto ma l’idea è piaciuta agli investitori, che tra 2011 e 2012 hanno dato a Couchsurfing un totale di 22 milioni di dollari di finanziamenti. La love story ora si è raffreddata, non per l’idea del divano, ma perché la società stenta a dimostrare di poter diventare un business redditizio e restituire valore a chi ha investito.
Il colosso Airbnb, anche questo fondato a San Francisco, nel 2008, ha oltre 2 milioni di annunci di alloggi e ha totalizzato 60 milioni di persone che hanno dormito nelle camere o case offerte con la sua piattaforma. Ha aperto 19 sedi nel mondo, dagli Stati Uniti alla Cina (in Europa ha uffici ad Amsterdam, Barcellona, Berlino, Copenaghen, Londra, Dublino, Parigi e Milano), ha messo insieme quasi 120 milioni di dollari in venture funding, è valutata almeno 25 miliardi di dollari se non 30 e a giugno ha anche ottenuto un prestito da 1 miliardo di dollari dalle banche americane per finanziare l’espansione globale, il marketing e il lancio di nuovi servizi (il progetto Samara appena presentato).
START UP IN ESPANSIONE
In tutti i casi, grandi o piccole che siano queste aziende, sono tutte fondamentalmente start up: cioè aziende ancora in fase di espansione, capaci di fatturare ma non di produrre utili. E’ così anche per Airbnb, che ha revenues per circa 900 milioni di dollari ma una perdita operativa di 150 milioni nel 2015 e brucia cash a ritmi forsennati per finanziare la sua crescita. Gli analisti assicurano: è normale così. Il tempo stabilirà poi quante e quali di queste start up della sharing economy sopravviveranno, ma il rischio e la selezione del mercato sono un processo naturale della creazione di impresa.
Fa un po’ eccezione HomeAway, azienda texana lanciata oltre dieci anni fa, quotata in Borsa da metà 2011 e ora parte della galassia di siti di Expedia. Prima della quotazione aveva raccolto 405 milioni di dollari di venture capital da investitori tra cui Google Ventures. Nel secondo trimestre 2016, secondo quanto comunicato da Expedia, HomeAway ha fatturato 172 milioni di dollari e dato un contributo di 35 milioni all’Ebitda della parent company. Il modello di business di HomeAway è basato sul pagamento di una quota per chi usa il servizio, sia il proprietario di immobile che inserisce l’annuncio sia chi prende in affitto la casa – un modello da cui l’azienda si aspetta una forte crescita delle vendite, con l’obiettivo di arrivare a 1 miliardo di dollari di fatturato annuale nel 2017.