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Ecco magagne e privilegi di Deutsche Bank

Per fortuna è uno scenario lontano dalla realtà. Ma è giusto porsi subito il problema: che cosa accadrebbe se Deutsche Bank finisse in dissesto? Immaginare oggi la risposta può essere utile per capire se le regole Ue sui salvataggi bancari vadano nella giusta direzione e ottengano gli obiettivi desiderati. In particolare, analizzando gli scenari possibili, si può concludere che più la banca in difficoltà è grande e rischiosa, più è protetta di fatto da conseguenze per gli investitori privati. Si potrebbe chiamare “too big to bail-in”: è la nuova versione in salsa europea del vecchio principio del “too big to fail”, ovvero la garanzia implicita che una banca molto grande non possa essere lasciata fallire e perciò sia di fatto protetta dallo Stato. L’obiettivo primario della regolamentazione internazionale post-crisi era proprio quello di porre fine a questo problema, che però sembra soltanto aver cambiato forma.

Il caso Deutsche Bank è quello di maggior rilievo per due ragioni: è la banca con i maggiori rischi sistemici ed è tedesca, quindi appartiene al Paese che più di tutti ha utilizzato aiuti di Stato ma che ora più si oppone al sostegno pubblico. Perciò il caso porrebbe problemi tecnici e politici in un’area dove il peso dei Paesi è differente e le regole più importanti (quelle su banche e Stati) sono vaghe e soggette a interpretazioni.

Di fatto ci sarebbero due scenari possibili: lo Stato tedesco salva la banca con denaro pubblico, con la possibilità di sollevare eccezioni al bail-in per i rischi sistemici della banca; oppure viene applicato il bail-in, presumibilmente utilizzando in grande quantità il fondo di risoluzione europeo (le cui risorse, versate dagli istituti europei, non possono essere utilizzate da banche per cui non c’è “interesse pubblico”) e forse anche il backstop pubblico su cui stanno lavorando i governi europei.

Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, ha assicurato ieri a Die Zeit e Corriere che in caso di dissesto di un grande istituto la banca centrale tedesca si impegnerebbe per il “rispetto delle regole” e che un coinvolgimento “credibile” dei creditori sarebbe necessario. Ma Weidmann ha sottolineato un altro aspetto: “Viste le dimensioni e l’alto grado di interconnessione con altre società finanziarie, eventuali problemi di Deutsche Bank potrebbero scaricarsi sul sistema nel complesso”. Di conseguenza, ha evidenziato, il recente rapporto del Fmi “dichiara che Deutsche Bank è in alto grado sistemica”.

I rischi per la stabilità finanziaria sono proprio quelli considerati dalla Commissione Ue per concedere eccezioni al burden sharing. Lo si è visto nel caso di Mps e delle banche greche e spagnole: Bruxelles non ha fatto sconti sul coinvolgimento di privati in caso di ricapitalizzazioni statali (poi scongiurate per Mps) proprio perché il burden sharing di quegli istituti non avrebbe messo a rischio la stabilità finanziaria. Ma nel caso di Deutsche Bank sarebbe diverso, visto che è la banca che più di ogni altra innesca “spillover” sistemici, come evidenziato dal Fmi (si veda tabella in pagina). Il dissesto dell’istituto potrebbe far scattare senza troppi problemi le eccezioni al bail-in contenute nella direttiva Brrd e nel regolamento della Commissione Ue sulla materia (si veda MF-Milano Finanza del 6 giugno).

Del resto nessuno potrebbe negare, fuori dalla Germania, che le conseguenze di un dissesto di Deutsche Bank sarebbero enormi, superiori a quelle viste per Lehman Brothers. Peter Praet, membro del comitato esecutivo e capo-economista della Bce, ha riconosciuto: “La principale preoccupazione per la stabilità finanziaria è che il bail-in per istituzioni grandi e complesse non è ancora stato sperimentato”. Analoghe considerazioni a quelle fatte per Deutsche Bank valgono anche per Bnp Paribas , Santander, Société Générale e Crédit Agricole, ossia le banche Ue che seguono l’istituto tedesco nella classifica Fmi dei rischi sistemici (assieme alla britannica Hsbc). Tutti questi istituti hanno di fatto una via privilegiata per sfuggire al bail-in e potranno avere un trattamento privilegiato sui mercati per lo stesso principio del too-big-to-fail: se i titoli hanno minori rischi di subire perdite, allora hanno un costo inferiore per la banca emittente. Così viene concesso un vantaggio alle banche più rischiose per il sistema finanziario. Quelle meno rischiose sono invece più vulnerabili, perché per loro il burden sharing è certo in caso di crisi o sostegno pubblico. Perciò l’Italia si è dovuta ingegnare con soluzioni private anti bail-in, che però hanno il difetto di avere risorse limitate (come dimostra la faticosa raccolta fondi per Atlante 2).

Resta il problema di definire con precisione quali siano le banche in grado di causare rischi per la stabilità finanziaria: nessun documento Ue lo chiarisce nel dettaglio. Ma alcune banche, per le loro enormi interconnessioni, sembrano al riparo da dubbi. Già a inizio febbraio, quando si erano diffuse voci sul mancato rimborso di alcune cedole da parte di Deutsche Bank , l’ex ceo di Morgan Stanley John Mack commentò, esprimendo un pensiero condiviso da molti: “È una banca tedesca; politicamente sarà predisposta una rete di sicurezza se ci sarà bisogno”.

Va comunque considerata anche l’altra ipotesi, quella in cui si applichi davvero il bail-in senza eccezioni. Anche in questo caso gli Stati europei rischiano una beffa dalla Germania (o dalla Francia). Il dissesto di una banca con un grande attivo (quello di Deutsche Bank è di 1.630 miliardi) potrebbe non solo svuotare il fondo di risoluzione Ue ma richiedere anche il sostegno di un backstop pubblico. Questo perché, dopo il bail-in dell’8% del passivo, il fondo di risoluzione Ue può contribuire fino al 5% del passivo della banca, un valore che per esempio per Unicredit corrisponde a 44 miliardi, ma che per Deutsche Bank è pari a 82 miliardi: in caso di necessità quindi non basterebbe il fondo Ue (che è di 55 miliardi a regime, versati da tutti gli istituti Ue) e bisognerebbe far ricorso anche al backstop pubblico. Lo stesso principio vale per Bnp Paribas e Crédit Agricole, che hanno un attivo superiore a quello di Deutsche Bank . La Germania per ora si è opposta al backstop pubblico perché ha ritenuto il suo sistema bancario al riparo da crisi, ma ultimamente si è mostrata più flessibile all’idea. Di certo per molti aspetti il nuovo sistema di risoluzione delle crisi sembra disegnato su misura per le grandi banche tedesche e francesi.

(Pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)


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