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Niente recite sull’Islam

Ore 11 nella Chiesa Cristiana a Bologna: vuoi la giornata di piena estate, vuoi il buonsenso, ma le presenze sono pochine e neanche un velo o una barba islamica seduti tra i banchi. L’appello simbolico lanciato in Francia e raccolto in Emilia Romagna e nelle Marche, dà, almeno nel mio quartiere scarsi risultati. E va bene così perché non si può pensare di quietare le paure costringendo persone a fare una recita a soggetto e ad altre di subirla. E va bene così perché sembra quasi una ridicola invocazione a non continuare a capire, a sapere, a muoversi governati dall’ignoranza. I musulmani nel mondo sono circa 1,6 miliardi, cioè il 23 per cento della popolazione mondiale. Il 13 per cento dei musulmani vive in Indonesia (il paese musulmano più popoloso), il 25 per cento nell’Asia meridionale, il 20 per cento in Medio Oriente e il 15 per cento nell’Africa subsahariana. E i musulmani vivono anche in Europa, Cina, Russia e Americhe. Come è possibile, dunque, come ho ascoltato ancora sabato sera su una TV, che c’è chi ha l’ambizione di fare cultura pensando all’Islam come a un blocco unico? Come non immaginare che un musulmano o una musulmana che vive a Parigi si comporti, si vesta, mangi in modo diverso da un musulmano o una musulmana che vive a Mosca? L’islam, come mi ha insegnato il cardinale Biffi, è una religione che, come le altre, influenza in molti paesi scelte politiche, sociali e culturali e raccoglie credenti più o meno osservanti. Da secoli convive, e guerreggia, con altre religioni e con l’ateismo in tutto il mondo. Non esiste una “chiesa musulmana”, una struttura che indichi come e perché agire. Esiste un libro e le tante interpretazioni che se ne possono dare e danno alcuni che sono cresciuti vedendo nell’occidente il nemico in cui portare la loro religione e imporla e farne un dogma. Non esistono musulmani moderati contro musulmani fondamentalisti. Esistono è vero, musulmani e musulmane laici, in conflitto o in accordo con i loro governi o le loro famiglie, praticanti, non praticanti e certo anche musulmani intransigenti, fondamentalisti,malavitosi, ladri, assassini, dissimulatori. Esistono poi musulmani e musulmane che rispettano tutti i precetti della propria religione, altri che ne rispettano solo alcuni e altri ancora che non li rispettano affatto. Le differenze non ce li fa automaticamente sentire fratelli e sorelle, perché le donne velate e sottomesse, le stragi di bambini e le sentenze inappellabili, la violenza con la quale impongono loro abitudini e pretese di non avere solo pari opportunità, ma spesso di ottenere vantaggi abitativi e licenze alimentari che fanno concorrenza ai nostri artigiani oberati dalle tasse, ecco tutto questo non funziona in una Italia provata e da una Europa massacrata. Vero è che non bisogna generalizzare ma vero è anche che il rancore per quello che sta accadendo in tutto il mondo non ci permette di continuare ad ascoltare, per me, con insofferenza imam che paiono santoni o sciamani benedetti pro integrazione con le loro abitudini, per altri più disorientati e magari molto impauriti lo stravolgimento del vivere quotidiano, raccontato. I musulmani e le musulmane nel mondo sono un miliardo e mezzo di uomini e donne diversi da noi per nascita, origine, cultura, istruzione. L’integrazione va attuata non con il buonismo di Francesco e di alcuni cardinali che predicano con il politicamente corretto e la fede intossicata dal troppo dialogo che significa sottomissione della nostra cultura cristiana ad altro. Significa un progetto intelligente e non paternalismo libertario, la religione cristiana, la religione della nostra Chiesa è quella di diffondere elaborare e garantire certezza, cultura e civiltà, una Chiesa come diceva Biffi che sia assertoria e sicura di sé nel suo magistero di umanità e vitalità, una cultura laica e risonante di storicità non fideista,insomma integra, che non sia solo impegnata debolmente a difendere la propria tradizione ma sia fortemente intenzionata a svilupparla nei suoi valori rilanciando principi concreti e valori morali anche per costruire insieme ad altri un nuovo mondo che ovviamente sia incardinato su condivisione pragmatica su come il potere. Così l’economia può sviluppare civiltà e non solo guerra distruttiva.

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