Al vertice di Ventotene del 22 agosto tra Angela Merkel, Matteo Renzi e François Hollande, la conferenza stampa si è tenuta prima e non dopo l’incontro “politico”, che si è svolto peraltro a tavola. E’ quindi corretta la lettura secondo cui si è trattato di una riunione quasi obbligata e di routine per fare il punto sulle prossime scadenze, soltanto successivamente rivestita e trasformata in un’operazione di comunicazione politica.
L’incontro era necessario, e in qualche modo ovvio, perché qualcuno dovrà pure prendere l’iniziativa per dare una linea o fare una proposta alla serie di appuntamenti che si susseguono a partire dal 3-4 settembre in Cina, tra Putin e Ucraina, crisi bancaria ed economica europea, Brexit, e vertice informale tra 17 capi stato e di governo europei a Bratislava il 16 settembre per dare una prospettiva all’Unione senza il Regno Unito.
E’ inoltre un incontro di aggiornamento tra i tre Paesi, perché da giugno a oggi ci sono state novità importanti. Ci si era lasciati con dei posizionamenti – anche scritti – sull’Unione e la Brexit (maggiore integrazione con chi ci sta, ma anche a 27), sulla Russia (sanzioni tra dubbi vari, fermezza sugli accordi di Minsk II, rinnovata relazione con la Nato), sul fronte sud e sulle migrazioni (più fermezza, operatività, e migliore coordinamento e iniziativa Nato-Stati Uniti). Questi documenti e posizioni hanno visto però aggiungersi in poche settimane il tentativo colpo di stato in Turchia del 15-16 luglio, la presunta “provocazione” in Crimea del 6-7 agosto e il rischio di nuova guerra, i progressi in Siria e in Libia. Un quadro difficile e molto complesso, in cui la capacità di risposta europea (e occidentale) inizia a manifestarsi, ma muovendo da un contesto di evidente debolezza muscolare e intellettuale.
Si suppone quindi che i tre leader si siano chiesti, supportati dai rispettivi ministri e dagli sherpa, cosa dire a Vladimir Putin in Cina il 3-4 settembre, cosa aspettarsi dall’Eurogruppo il 9 settembre, come dare un indirizzo all’Unione senza che i quattro Paesi di Visegrad si inalberino troppo ma facendo comunque progredire l’integrazione, anche nell’ambito della sicurezza, come creare una compattezza europea rispetto al Regno Unito di cui resta peraltro necessaria la presenza anche soltanto sul piano militare e della stabilità. Sono domande che si sarebbero potuti anche fare a Berlino, o a Roma, o a Parigi, ma che Matteo Renzi (e quindi l’Italia) ha portato su un teatro, perché tutti vedano.
I tre capi di stato – forse anche non del tutto convinti, con le grane che hanno dinnanzi – hanno dato quindi un messaggio di relativa rassicurazione, manifestando la loro presenza, dichiarando una leadership e un’iniziativa europea, ricordando che il tandem franco-tedesco è vivo e vegeto e ora allargato all’Italia “piuttosto” riformista di Matteo Renzi, che la storia dell’integrazione europea ha fondamenta solide, fatte di uomini, di lotte e di luoghi, dall’Atlantico (con il simbolismo della nave militare che fu all’origine del patto atlantico) a Ventotene (nell’europeismo “federalista” della lotta di liberazione).
E’ stata una presenza pubblica percepita come utile, come segno di responsabilità e d’iniziativa. E’ un messaggio che è apparso in tutta la stampa europea. Persino sul Dauphiné Libéré, diffuso tra Grenoble e la Savoia, accanto alle pagine sugli andamenti del turismo, la cronaca dei tre leader da Ventotene si poneva in modo rassicurante.
E’ una tranquillità che però difficilmente sarà condivisa dagli sherpa, considerato che – appena finito l’incontro di Ventotene – Vladimir Putin ha chiamato al telefono Angela Merkel e François Hollande per mettere in dubbio il proseguimento del processo di Minsk II e per ribadire che secondo lui l’Ucraina il 6 e 7 luglio ha veramente inviato un gruppo di sabotatori “nel territorio della Federazione russa” (cioè in Crimea). Secondo l’Atlantic Council, l’Ucraina è oggi circondata, e l’obiettivo militare russo è il corridoio meridionale, dal Donbass fino alla Transnistria, in Moldavia.
Di qui a settembre, il calendario segna giorni difficili, per fortuna addolciti e rassicurati dalle parole e dai simboli, e si spera anche dalle azioni.