Sono arrivati in 20 mila per manifestare a favore del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Il luogo della manifestazione non era però la Turchia, ma Colonia, la città teatro della aggressioni da parte di profughi contro centinaia di donne, la notte di Capodanno. Sono arrivati da tutta la Germania e in parte anche dall’estero. Direttamente dalla Turchia è arrivato, invece, il ministro dello Sport, mentre la Corte costituzionale tedesca ha vietato un collegamento diretto, durante la manifestazione, con Erdogan.
Questa volta la polizia cittadina non si è fatta trovare impreparata. A controllare la situazione c’erano 2700 poliziotti i quali non solo hanno tenuto sotto controllo la manifestazione turca ma anche le altre che si svolgevano contemporaneamente contro la politica di Erdogan (e organizzate da gruppi di estrema sinistra e di estrema destra).
Per fortuna non ci sono stati incidenti. Ciò nonostante la giornata di ieri a Colonia mostra che per il governo di Berlino al problema profughi se ne sta affiancando un altro.
Sono 3 milioni i turchi che vivono in Germania. Turchi che si mostrano sempre più influenzabili dal corso autoritario di Erdogan. Ieri è stata, infatti, la seconda volta che sono scesi in strada per esprime la loro solidarietà al presidente turco, dopo il fallito putsch di due settimane fa. Ed è un fatto che sembra mettere i politici ancora più all’erta del pericolo di altri attentati terroristici compiuti da singoli (e per questo quasi impossibile da prevenire).
A mostrarsi allarmato è stato, per esempio, il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, il quale già venerdì ammoniva: “E’ inammissibile portare questioni di politica interna turca in Germania e intimidire persone che la pensano diversamente”. Steinmeier si riferiva anche a quanto avvenuto all’indomani del fallito putsch. Allora non solo molti turchi ero scesi in strada per manifestare la propria solidarietà a Erdogan, alcuni avevano anche attaccato negozi curdi o di simpatizzanti di Fetullah Gülen, capo dell’omonimo movimento, da un paio di anni riparato negli Stati Uniti. Secondo il presidente turco è Gülen la mente dietro al gesto sovversivo di parte dell’esercito, tant’è che ha chiesto agli Stati Uniti la sua estradizione. Sempre in Germania era stata, poi, segnalata una hotline per coloro che volevano denunziare chiunque dovesse esprimere critiche nei confronti di Erdogan. Il numero conduce(va) direttamente alla centrale operativa delle forze di sicurezza ad Ankara.
Già prima del tentato golpe i rapporti tra Berlino e Ankara (e Bruxelles) tendevano verso il teso. Un momento di grande disappunto l’ha causato qualche settimana fa la decisione del Bundestag di definire la deportazione e il massacro degli armeni (1915/16) da parte turca “genocidio”. Poco dopo diversi deputati tedeschi di origine turca sono stati bersaglio di minacce esplicite.
Oggi i rapporti tra Berlino e Ankara sono decisamente tesi, con Angela Merkel che come si è vista durante la conferenza stampa di qualche giorno fa, cerca di restare in equilibrio precario tra diplomazia e denuncia riguardo a quello che sta accadendo in Turchia. Da una parte non si vuole mettere a rischio l’accordo di aprile riguardo ai profughi. Dall’altra, la Kanzlerin sa che c’è un’opinione pubblica attenta a come si muove il governo in questa situazione sempre più spinosa: come intende affrontare un paese, o meglio, un capo di Stato dai tratti sempre più autoritari, che non solo dichiara di voler reintrodurre la pena di morte perché il popolo la reclama, ma soprattutto perché lui stesso vorrebbe farvi ricorso. E ancora, a un Paese che vieta ai deputati tedeschi di andare a far visita al contingente della Bundeswehr di stanza sul confine turco siriano. “Un fatto gravissimo”, commentava un paio di giorni fa Claudia Roth, ex leader dei Verdi. Per Roth non è solo gravissimo che Berlino si faccia vietare queste visite, ma che anche la Nato non stia prendendo posizioni in proposito: “La Turchia non è anch’essa membro della Nato?”.
Volker Kauder, segretario generale della Cdu ha fatto invece sapere che d’ora in poi si osserverà ancora più attentamente l’attività dell’Akp qui da noi”. Una dichiarazione alla quale oggi seguiva la notizia che secondo un rapporto stilato dal network cristianodemocratico “Unione delle diversità” ci sono sempre più frequenti tentativi di infiltrazione della Cdu da parte dell’Akp. Infine c’è chi, alla luce delle manifestazioni dei turchi in Germania definisce la comunità turca il 17esimo Land tedesco. Un’affermazione che è meno paradossale di quel che potrebbe apparire. Solo un paio di mesi fa il presidente Erdogan ha preteso l’incriminazione di un comico tedesco perché lo stesso gli aveva dedicato una poesia greve. Angela Merkel, che non vuole in alcun modo mettere a repentaglio l’accordo turco europeo sui profughi, non si è opposta alla richiesta contro Jan Böhmermann, questo il nome del comico, lasciando la questione alla giustizia. E a proposito di denunce contro il presidente turco: ieri Erdogan faceva sapere che ritirava tutte le denunce contro persone che l’avevano offeso in patria, quella nei confronti di Böhmermann resta, invece, in piedi. Non solo. Ieri da Ankara è arrivato un’altra richiesta perentoria: se entro ottobre l’Ue non concederà l’abolizione del visto per i cittadini turchi, salterà anche l’accordo sui profughi.
Non molti anni fa, la Germania si interrogava sulle “società parallele” che si sono venute a costituire in molte città e il fallimento del multiculturalismo, predicato dalla sinistra e dai verdi. Comunità parallele perché composte da migranti, il più delle volte turchi, anzi turche, che non parlano una parola di tedesco e che di fatto vivono in una realtà a parte. Il problema che si affaccia ora e che evidenzia anche la manifestazione di oggi è non meno. Persone che pur vivendo, a volte da una vita intera, in Germania, sembrano riconoscere ciò nonostante come autorità istituzionale solo quella turca.
Secondo qualcuno questa è la dimostrazione che la politica ha peccato di pericolosa ingenuità in questi anni attraverso un’apertura che oggi rischia di rivelarsi un boomerang. Per esempio, permettendo a Erdogan di tenere a suo tempo comizi elettorali anche in Germania. Wolfgang Bosbach, esponente di spicco dell’ala conservatrice della Cdu, nonché responsabile per il partito della strategia di politica interna, ieri in un’intervista ricordava che non è la prima volta che in Germania i fatti turchi si trasformano in momenti di scontro anche in Germania. Era già avvenuto alla fine degli anni 90. La domanda che bisogna porsi è ora la seguente, sottolineava Bosbach: “Queste persone verso chi si sentono leali? Verso la Repubblica Federale Tedesca? Chi vive qui deve sapere che il suo capo di Stato si chiama Joachim Gauck. E comunque sia, chi trova apprezzabile la politica del signor Erdogan può andare a manifestare direttamente in Turchia e non qui a Colonia”.