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Cosa non dice l’opposizione sul referendum costituzionale

Le parole con le quali il Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi ha rassicurato che la durata della legislatura proseguirà sino alla sua scadenza naturale indipendentemente dall’esito della referendum costituzionale privano buona parte degli oppositori della riforma dell’argomento politico che è risultato sinora il più efficace presso una fascia non indifferente di opinione pubblica: è necessario votare no alla proposta di revisione della Carta fondamentale per potere “licenziare” conseguentemente il Capo del Governo attualmente in carica.

L’opposizione parlamentare, in particolare, dovrà rassegnarsi adesso ad un argomentato dissenso sui contenuti della proposta di riforma e, se non vorrà svilire la dignità del suo ruolo istituzionale, sarà costretta allo stesso tempo ad indicare in maniera propositiva forme e contenuti di una riforma costituzionale alternativa o migliorativa rispetto a quella esitata in via definitiva dalla sola maggioranza che sostiene il Governo di Matteo Renzi.

Nonostante sia stato sempre eterogeneo e frastagliato, il fronte del dissenso parlamentare alla riforma costituzionale avrebbe dovuto da tempo farsi carico di dimostrare una capacità propositiva alternativa o complementare a quella della maggioranza governativa. Da un lato si sarebbe potuto allontanare così definitamente il sospetto di una contrapposizione meramente strumentale e unicamente preordinata a consolidare il sempre vituperato immobilismo istituzionale, mentre dall’altro la reale disponibilità delle forze politiche al Governo ad una riforma costituzionale compiutamente condivisa avrebbe dovuto affrontare un banco di prova decisamente impegnativo.

Archiviata l’impraticabile idea dello spacchettamento del referendum costituzionale l’opposizione parlamentare dovrebbe oggi, per essere concreti, predisporre una proposta di revisione che in pochi articoli condensasse i punti irrinunciabili e sostanzialmente migliorativi della riforma costituzionale sottoposta a referendum (lasciando inalterati gli aspetti da sempre dichiarati come condivisibili) e proporne la concorde approvazione al fronte contrapposto. La proposta dovrebbe contenere i punti sostitutivi della riforma già varata, nonché quelli pacificamente condividisi (soppressione del CNL, delle province), nonché, ancora, quelli sui quali i promotori ritengono vi possa essere un consenso parlamentare larghissimo: quello stesso che essi dichiarano si potrebbe coagulare in caso di vittoria del no al referendum.

L’articolo 15 della legge n. 352/1970 permette infatti di indire il referendum costituzionale entro sessanta giorni dal deposito dell’ordinanza della Corte di cassazione che lo abbia ritenuto ammissibile ed obbliga alla sua celebrazione in un lasso di tempo intercorrente fra il 50° e il 70° giorno successivo all’emanazione del decreto d’indizione da parte del Presidente della Repubblica, cosicché vi sarebbe tempo almeno sino alla metà del mese di dicembre di quest’anno per potere approvare (in prima lettura di certo, ma con un procedimento speditissimo, forse anche in seconda lettura) una revisione costituzionale ampiamente condivisa con il consenso dei 2/3 dei membri delle camere.

Non vi sarebbe così alcuna necessità di sottoporre la nuova riforma a referendum popolare ed il procedimento referendario medio tempore attivato si arresterebbe in ragione di una norma finale del nuovo testo ampiamente condiviso che abrogherebbe la riforma precedente esitata dalla sola maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera.

È bene precisare che l’esercizio del potere legislativo è da sempre ritenuto inesauribile, di tal che nessun ostacolo si frapporrebbe fra la procedura con la quale è stato indetto il referendum costituzionale sulla prima legge di riforma e l’approvazione con la maggioranza dei 2/3 dei componenti ciascuna Camera di una nuova legge di revisione costituzionale che abrogasse la precedente annullando così automaticamente la convocazione referendaria. E’ noto, infatti, che il corpo elettorale non ha diritto alla celebrazione del referendum allorché la legge sia stata approvata nella seconda votazione da ciascuna Camera a maggioranza di due terzi dei suoi componenti e che dunque la materia della revisione costituzione è in primo luogo nella disponibilità esclusiva del Parlamento e di nessun altro.

Qualora, invece, il tentativo di ricomporre il frastagliato fronte parlamentare sulla linea di una riforma costituzionale ampiamente condivisa dovesse fallire, sarebbe in ogni caso salvaguardata la celebrazione del referendum già indetto (e ciò perché l’abrogazione della precedente legge di revisione costituzionale entrerebbe in vigore solo contestualmente alla definitiva approvazione della nuova legge sostenuta da almeno i 2/3 dei componenti ciascuna camera in seconda votazione).

Il tempo rimasto a disposizione è oramai veramente poco, il temine oltre il quale non sarà più possibile arrestare il procedimento referendario è prossimo a scadere (forse è già scaduto?), ma un’opposizione parlamentare seria e responsabile che volesse davvero contribuire a cambiare il Paese con azioni concrete dovrebbe in ogni caso esperire il tentativo che abbiamo sin qui delineato. Anzi, avrebbe dovuto già farlo.

@roccotodero


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