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Il terremoto ha davvero terremotato i giornali? Tesi, antitesi e polemichette

Il web è davvero soltanto produttore di bufale, come quelle denunciate da Enrico Mentana? I siti on line sono veramente aridi o dediti solo a drammatizzare eventi come il terremoto nel centro Italia, come sostiene Luca Sofri? Davvero il giornalismo italiano è da bistrattare e magari rottamare come si bofonchia pubblicamente sovente sui social? Gli interrogativi sono più che leciti, ma sia sulle edizioni cartacee che sui giornali on line non sono mancati, anzi, spazi di approfondimento, di analisi, di racconto. A volte sorge il dubbio che taluni giornalisti siano più dediti a pensieri corporativi e onanistici su colleghi e professione che protagonisti di spiegazioni e approfondimenti. Insomma, è più agevole e meno defatigante vergare un posticino su qualche blogghino che mettersi in gioco e fare una bella inchiesta. O no? Ma vediamo ora chi e cosa ha scritto su questa tema piluccando dalle firme del giornalismo che hanno dibattuto del tema.

Chi non ha esitato a stigmatizzare la stampa e’ stato Gianluca Neri sul suo blog Macchianera con un articolo dal titolo “Il giorno in cui morì la stampa:
Io mi scuso del fatto che l’occasione per farlo sia data da un evento catastrofico e tragico per parecchie persone, cui sono vicino e di cui capisco la paura (pensate: quando non ci sentiamo sicuri di qualcosa immaginiamo la nostra casa come il luogo sicuro per eccellenza; diciamo “mi chiudo in casa” contro i ladri, il male, il mondo cattivo là fuori, e invece il terremoto abbatte questa nostra unica certezza: che la casa e le mura e il tetto che abbiamo sulla testa siano in grado di proteggerci, che la casa sia il posto in cui non avere paura) però non posso fare a meno di analizzare la situazione dal punto di vista che mi compete e di cui so qualcosa, che è quello dell’informazione. E lo faccio – sia chiaro – perché sono inorridito dal fatto che ancora un’ora dopo la tragedia il principale quotidiano italiano, il Corriere della sera, ignorasse quanto era accaduto. Repubblica quella che si sveglia prima“.

Una firma del firmamento giornalistico opinionistico, Luca Sofri, direttore del Post, ha scritto sul suo blog Wittgenstein:
Il modo in cui vengono confezionate per i lettori le notizie di questi giorni è la più efficace dimostrazione della cosa che dicevamo qui, l’inclinazione non a dare informazioni ma a dare “emozioni” già precostituite: neanche a “suscitarle”, ma a decidere a priori quali debbano essere, a predefinirle e a far prevalere l’emozione sul fatto, scegliendo e indicando per ogni fatto l’emozione relativa, come da un menu (menu piuttosto povero, tra l’altro: brividi, paura, una manciata di aggettivi). Leggo in una stessa homepage di grande sito di news in questo momento:

“Amatrice, la scossa è in diretta: da paura il rombo”
“Amatrice, salvato il cane: il commovente incontro con il padrone”
“Gli sfollati e il doloroso recupero dei loro oggetti”
“Gli applausi, le lacrime: il salvataggio di Giorgia e Giulia emoziona il mondo”
“Pescara del Tronto, le terribili immagini del drone“.

A bistrattare giornali e giornalisti su Amatrice è stato anche lo scrittore Roberto Cotroneo (nella fotosu Facebook:
“Molti giornali, non tutti, oggi hanno dimostrato una palese inadeguatezza sul dramma del terremoto. E non è una inadeguatezza sulla capacità di coprire i fatti o di dare le notizie. È qualcosa d’altro, è un linguaggio falsamente lirico, standardizzato nel voler riportare sensazioni, emozioni e drammi. Un modo da cattivi scrittori che diventa persino di cattivissimo gusto quando ha a che fare con il dolore vero, il lutto e la tragedia. Per buona parte il giornalismo italiano – della carta stampata soprattutto – è vecchio e inadeguato, persino un po’ irritante, malato di un opinionismo e di cronache sul campo ingenue, goffe e un po’ grossier. Da parvenu della cultura e della letteratura. C’è bisogno di riflettere. C’è da tornare a una serietà che è fatta di scrittura che non si atteggia a scrittura, di sguardo discreto, di qualche parola in meno per capire qualcosa in più. E soprattutto di rispetto per lettori che non ne possono più di equilibristi ed esibizionisti dell’aggettivo”.

Chi invece non si è accodato a questo coretto è stato Daniele Bellasio, caporedattore del Sole 24 Ore e curatore del blog Danton, che su Facebook ha scritto:

Certo è facile prendersela con la periclitante stampa dalle retrovie cool dei nostri blog. Non costa nulla infierire sul normale, ovvio divario strategico che un giornale che esce il giorno dopo accumula nelle ore in cui la TV ovviamente racconta con efficace immediatezza visiva (e dà) le emozioni mentre la radio fornisce il meglio della cronaca dei numeri e i numeri del servizio, del soccorso, della gente. Facilissimo poi – e spesso anche giusto, continuate e continuiamo a far di tutto per migliorarci – facilissimo, dicevo, sbeffeggiare, denunciare, condannare gli inutili trucchi seo che i poveri macchinisti web (ogni possibile conflitto d’interesse è autoevidente) inseguono per allontanare il più possibile il troppo affezionato a noi spettro della crisi dell’editoria. Certo i giornali sono troppo spesso inutilmente bulimici, pur venendo dopo pantagrueliche scorpacciate d’informazione fatte dai lettori con altri più moderni mezzi. Certo i siti dei giornali sono spesso inutilmente enfatici, furbini e a volte (tante) anche frettolosamente cialtroni. Però io in questi giorni ho visto idee originali come il racconto del male del terremoto visto dall’alto su Repubblica, la storia nazionale nelle pieghe e nelle pagine del Corriere della sera (leggi Gian Antonio Stella, per fare soltanto un esempio), la straordinaria semplicità del racconto, soltanto il puro racconto, della Stampa (leggi e rileggi oggi Mattia Feltri per fare soltanto un altro esempio), il fiume carsico dell’abbraccio mortale tra il dramma dell’Aquila e la tragedia di Amatrice, passando per il distretto squassato dell’Emilia non paranoica sul Sole 24 Ore (leggi e rileggi Mariano Maugeri di questi giorni). E i siti dei giornali? Beh, per fatto personale mi limito a dire che chi ci lavora – si vede – ci ha messo tanta buona lena. Ognuno con i propri pregi e i propri difetti. Il problema profondo della stampa non è tanto ciò che fa – tanti errori, troppi tic, poco vero coraggio nel raccontare la realtà, insieme a molte cose ancora positive – ma è ciò che non fa: investire in innovazione e qualità trasformando l’antico per renderlo attuale e scommettendo sulle potenzialità del nuovo. Basta paura, basta infierire. Finché ci sarà un bimbo che dirà: raccontami una storia, secondo me ci saranno adulti che vorranno leggere un articolo“.

Che il dibattito prosegua.

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