L’argomento è debole, ma questo non è quasi mai un freno per Donald Trump: a corto di suffragi, ché quelli degli uomini bianchi impoveriti e arrabbiati, non gli bastano, il candidato repubblicano prova a corteggiare i neri e persino gli ispanici, dopo averli rispettivamente trascurati e insultati nella sua campagna. Lo fa cercando di strappare alla rivale Hillary la comunità afro-americana, che è da sempre vicina ai Clinton: Bill fu definito dalla poetessa Toni Morrison “il primo presidente nero” della storia Usa.
Ma l’argomento è, appunto, debole. Trump dice in un comizio in Michigan e ripete in Virginia: “Visto quanto la comunità afroamericana ha sofferto sotto le amministrazioni democratiche, vi chiedo: Che cosa avete da perdere nel provare qualcosa di nuovo come me?”. Tanto, è l’idea, più poveri di così non diventate.
Il magnate sostiene che “nessuno gruppo in America è stato più danneggiato degli afro-americani dalle politiche della Clinton. Se l’obiettivo di Hillary fosse stato quello d’infliggere dolore ai neri – dice – , non avrebbe potuto fare di meglio”.
Dubbia l’efficacia del messaggio. E secca la replica della candidata democratica: Trump “è così ignorante da essere sconcertante”, ha twittato l’ex first lady. Toni a parte, la mossa del magnate appare, a giudizio dei politologi, di scarso impatto: la comunità nera vota tradizionalmente democratico e, ora, tende a votare più di prima della presidenza Obama.
Anche Mitt Romney, candidato repubblicano alla Casa Bianca nel 2012, una figura più tradizionale di Trump e sempre nei limiti del politicamente corretto, riuscì a ottenere solo il 6 per cento dei voti dei neri. Però, lo showman non demorde e sollecita il partito a fare di più e meglio con gli afro-americani; e, sullo stesso registro, incontra il Consiglio nazionale ispanico per Trump, che prova a fargli raggiungere l’elettorato dei latinos, altra minoranza che il magnate fatica a intercettare, fors’anche perché ha dedicato buona parte della prima parte della sua campagna a insultarla.