Pochi giorni dopo avere sostenuto che anche gli immigrati regolari sono una minaccia per gli Usa e avere definito gli attuali flussi “il più grande cavallo di Troia della storia”, Donald Trump gioca ancora la carta dei migranti: s’impegna ad attuare un sistema “estremamente accurato” di verifica dei requisiti di quanti vogliono entrare nell’Unione, a partire dalle ideologie che professano e dalle fedi che praticano.
Il suo vice Mike Pence, su questo punto, non si mostra più moderato: il divieto d’ingresso negli Usa dai Paesi “a rischio di terrorismo” – dice – deve valere non solo per i musulmani, ma pure per ebrei e cristiani. Pence l’ha affermato in un’intervista radiofonica, facendo l’esempio della Siria: “Sospendere il programma per i rifugiati dai Paesi che non possono garantire l’identità e l’affidabilità delle persone che arrivano è nel migliore interesse della sicurezza degli Stati Uniti”” E il bando temporaneo deve basarsi sul Paese di provenienza, non sulla fede o sull’etnia.
Elaborando meglio il suo concetto, Trump afferma: “Dovremmo far entrare in questo Paese solo chi condivide i nostri valori e rispetta la nostra gente. Durante la Guerra Fredda c’era un test ideologico. E’ giunta l’ora di nuovi test per le minacce odierne”. Il candidato repubblicano prevede misure anti-terrorismo fra cui il bando di quanti provengono da Paesi “instabili e pericolosi”.
Trump non ha dunque abbandonato la retorica anti-migranti delle prime battute della sua campagna. Il magnate ha poi ribadito il generico proposito di “schiacciare e distruggere” il sedicente Stato islamico, riconfermando – al momento senza ritrattarle, come fece l’ultima volta, quando sostenne che i media non avevano capito che la sua era una battuta – l’accusa al presidente Barack Obama e alla candidata democratica, ed ex segretario di Stato, Hillary Clinton, che avrebbero permesso all’autoproclamato Califfato di nascere e svilupparsi.
Trump intende inoltre istituire una “commissione sull’Islam radicale” per sradicare – non ha spiegato come – dal web le reti jihadiste e per contrastare la radicalizzazione dei giovani americani. Il tutto arrivando, se necessario, a “bloccare l’accesso a internet agli estremisti, per impedire che la rete venga usata come strumento di reclutamento” di aspiranti terroristi.
Il candidato repubblicano ha poi fatto confusione tra la politica estera del precedente presidente repubblicano, George W. Bush (che decise l’invasione dell’Iraq nel 2003, creando i presupposti dell’instabilità regionale e del moltiplicarsi del terrorismo di matrice islamica). Bush si richiamava ai concetti di “regime change” (cambio di regime) e di “nation building” (costruzione di uno Stato stabile e democratico, altra versione dell “esportazione della democrazia” di matrice neo-con).
Trump ha attribuito entrambe le dottrine a Obama: “Si sono dimostrate un totale fallimento. Abbiamo creato un vuoto che ha consentito al terrorismo di prosperare”, ha concluso. Il che è vero, ma la matrice è repubblicana, non democratica. (Vignetta: Gianfranco Uber)