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Tutti i perché delle mosse di Papa Francesco di fronte al terrorismo

Papa Francesco

Dabiq, la cosiddetta rivista ufficiale di Daesh, in pieno delirio lancia numerose accuse a Papa Francesco. La nostra guerra è di religione ed è “benedetta da Allah”, dicono. Il cristianesimo “è una religione del politeismo”, Papa Francesco un “pagano”, e la sua “narrazione” dell’Islam come “religione di pace” è “falsa”.

FRANCESCO È UN GESUITA, E NON SI PUÒ PENSARE CHE NON CONOSCA LE CONDIZIONI DEI CRISTIANI

Le parole del Papa sull’aereo di ritorno da Cracovia, dove ha messo sullo stesso piano questa stessa violenza islamista a quella privata di cattolici battezzati, hanno fatto storcere il naso a molti. Il sito francese Atlantico nota però come questo sia stato “giudicato ingenuo da molti professionisti perché si è dimenticata una qualità essenziale del pontefice: che fu allevato dai gesuiti, conosciuti per l’abilità nel raggiungere i propri fini per vie indirette senza abbandonare mai la strada maestra”. Bergoglio, dice dapprima lo scrittore Christian Combaz, “come latinoamericano, piuttosto che la violenza privata di cattolici che vanno a messa poteva benissimo nominare i commando armati che, in nome di Cristo, scendevano soltanto quarant’anni fa nei barrios contro il marxismo. Ma non lo ha fatto, e questo prova che nel suo spirito si tratta soltanto, come si direbbe altrimenti, di placare il male”. “Il Papa sa bene che il cristianesimo è la prima religione perseguitata nel mondo” continua lo storico Christophe Dickès, dicendo qualcosa di banale ma tuttavia non sempre preso troppo in considerazione.

IL PARALLELO CON PIO XIII E LA STRATEGIA PER “ABBATTERE LA BESTIA”

Lo storico, facendo un parallelo con Pio XII e la minaccia nazista, ricorda come quest’ultimo “ha cercato di proteggere i propri sacerdoti (molti dei quali furono deportati), guardandosi bene dal gettarli nelle fauci del lupo. Anche se la situazione non è la stessa di oggi, dove c’è un oppressore dittatoriale con una struttura e un commando, che allo stesso tempo costituisce una minaccia diffusa”. Per questo secondo quanto riportato dal sito Atlantico, il Papa si starebbe muovendo come si vede perché ha una strategia, se così si vuole chiamare. Vuole perciò fare attenzione, visto anche che nel mondo molti cristiani vivono “a contatto di un nemico che ne può ucciderne 1000 in un anno, e in Africa anche in un solo giorno”. Ma il Papa “è un uomo che sa che la logica del male è sempre la stessa attraverso la storia: il demonio è destinato a divorare sé stesso, è la sua natura”. Francesco peraltro, prosegue Dickès, “non smette mai di rimarcare la complessità del contesto, e anche Pio XII fu criticato per non avere denunciato pubblicamente il nazismo. Lo citò una sola volta in una famosa enciclica” (la Mit brennender Sorge, indirizzata ai vescovi tedeschi nel ’37, con la conseguenza di una violenta reazione da parte del regime nazista). E oggi c’è da dire che “l’azione diplomatica della Santa Sede consiste nel difendere i cattolici perseguitati nel mondo, permettendogli di esercitare la loro libertà di culto. Il Papa agisce politicamente, ma non come capo di guerra, che non è il suo ruolo. Non è Pio V che sconfisse gli Ottomani a Lepanto nel 1571, oggi il Papa non ha più un ruolo militare. Il suo ruolo è quello di forza morale, con la sola arma della parola. Con i rischi che comporta nella nostra società iper-mediatizzata” prosegue lo storico e giornalista. Quindi c’è da capire perché, e con quali ragioni, il Papa dovrebbe oggi agire altrimenti, attaccando a parole ma frontalmente l’intera religione islamica, come qualcuno sostiene. D’altronde lo ha già fatto Benedetto XVI, che “questo rischio lo ha preso con il suo discorso di Ratisbona, ampiamente strumentalizzato dai media” conclude Dickès. Anche se “ha però avuto il merito di responsabilizzare l’Islam nel dialogo interreligioso. Il discorso del rettore dell’Università del Cairo sotto l’impulso di Al-Sisi è stata una delle conseguenze”

L’ANNUNCIO DELLA VISITA IN MOSCHEA

Che Francesco tiri dritto per la sua strada lo dimostrano le parole pronunciate al ritorno dalla Gmg, dove ha detto, in maniera semplice e disarmante, che in quel viaggio ha trovato “la risposta di un mondo che è in guerra”: “in questo mondo in guerra è necessaria la fratellanza, la vicinanza, il dialogo, l’amicizia. Questo è il segno di speranza: quando c’è fraternità”. Nel silenzio di Auschwitz, prosegue il Papa, “ho riflettuto su tutto quello che è successo lì, ho ricordato le vittime, e avvertivo la misericordia di Dio che si è fatto sentire anche in quell’abisso di male”. Permettendogli di comprendere “il valore di ricordare, non come una semplice memoria, ma come un avvertimento in modo che l’odio e la violenza non si ripetano”. Conferma, quella della volontà di dialogo e della genuinità della sue parole, ulteriormente data dalla notizia che Francesco ha appena inserito in agenda, si pensa per le prime settimane del prossimo anno, la visita alla Grande Moschea di Portoghesi a Roma. Gli altri due papi che hanno fatto visita a una moschea, nella storia, sono stati Giovanni Paolo II a Damasco nel 2001 e Benedetto XVI in Turchia nel novembre 2006, alla Moschea Blu.

VERSO LA PACE MOLTI LO SEGUIRANNO, DICE L’ECONOMIST. E IN VATICANO ASPETTANO HOLLANDE

È anche una voce autorevole come l’Economist a scrivere che “dal ’93 in poi il Vaticano si è spostato verso una posizione di sempre maggiore pacifismo incondizionato. Opponendosi prima al bombardamento in Serbia nel 1999 e poi all’assalto dell’Iraq nel 2003”. Senza peraltro “tirare indietro la mano, come conferma l’uso della parola genocidio per la Turchia”: “se il Papa – conclude l’articolo – dovesse sfruttare il cervello e l’enorme fiducia a sua disposizione per tracciare una nuova dottrina a pieno titolo della guerra e della pace, molte persone anche lontane dal mondo del cattolicesimo gli presterebbero una rispettosa attenzione”. Nel frattempo il sito della tv generalista francese TF1 parla di un possibile incontro in Vaticano, anche se nulla di ufficiale, di Francesco con il presidente francese François Hollande, che “lo vuole incontrare nelle prossime settimane” dopo aver “elogiato la reazione della Chiesa, che ha chiamato per l’unità e il dialogo permanente tra le tre grandi religioni”. A vedere infatti il presidente francese, capo di una nazione che sta vivendo un momento di forte difficoltà, dirigersi da un capo spirituale come il Papa, sembra quasi che stia riconoscendo il limite intrinseco della politica nei confronti della vastità, dell’imprevedibilità, e dell’impossibilità di delimitare l’intera vita umana. E quando, per fare un esempio, Massimo Franco sul Corriere cita le parole del politologo francese Olivier Roy, “bisogna togliere ai jihadisti la legittimità dell’uso dell’islamismo”, in realtà si sta ascoltando un mantra ripetuto da tempo anche da numerosi esponenti del Governo, come per esempio il ministro Alfano. Quando viene cioè detto che l’Isis e i terroristi hanno “sequestrato un Dio”, che significa implicitamente (ma neanche troppo) che il compito che ci spetta – cristiani, laici, musulmani – è di sottrarre loro questo dio sequestrato. In questo modo il terrore, e i terroristi, non avranno alcuna speranza.

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