Organizzata in occasione del cinquecentenario dell’istituzione del ghetto di Venezia, curata da Donatella Calabi con il coordinamento scientifico di Gabriella Belli ed il lavoro di un nutrito pool di studiosi, la mostra “Venezia, gli ebrei e l’Europa 1516 – 2016” in programma a Palazzo Ducale, a Venezia, fino al 13 Novembre, vuole descrivere i processi che sono alla base della nascita, della realizzazione e delle trasformazioni del primo “recinto” al mondo destinato agli ebrei.
La parola ghetto deriva da “Geto nuovo”, espressione con cui si intendeva la fonderia di rame (una officina per “gettare” e quindi fondere metalli) messa a disposizione degli ebrei che nel 1516 volevano risiedere a Venezia.
Ma c’è una enorme differenza fra la ricchezza dell’esperienza storica veneziana e la miseria e la sopraffazione dei ghetti contemporanei e di altri periodi e luoghi storici. Il ghetto di Venezia infatti, pur nato per controllare e discriminare chi vi abitava, di giorno diveniva una fucina di incontri e di scambi economici e sociali. Proprio in questo senso si allarga lo sguardo della mostra, delineando le relazioni stabilite fra gli ebrei e gli altri quartieri veneziani e anche gli altri quartieri ebraici (e non solo), italiani ed europei.
Lo scopo è mettere in luce le diversità culturali esistenti nella Venezia cosmopolita d’inizio Cinquecento e la mescolanza di saperi, conoscenze, abitudini che ne costituiscono tuttora il principale patrimonio. Non solo un lavoro d’indagine sull’area specifica dei tre ghetti (Nuovo, Vecchio e Nuovissimo) dunque, ma anche una riflessione sugli scambi culturali e linguistici, sulle abilità artigianali e sui mestieri che la comunità ebraica ha condiviso con la popolazione cristiana e le altre minoranze presenti in un centro mercantile di straordinaria rilevanza.
Importanti dipinti – da Bellini e Carpaccio, da Foraboschi a Hayez e Poletti, da Balla a Wildt fino a Chagall – disegni architettonici d’epoca, volumi in rarissime edizioni originali, documenti d’archivio, oggetti liturgici e arredi, ricostruzioni multimediali, consentono di testimoniare un lungo arco di tempo che arriva fino al Novecento.