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Vi racconto la voglia di Nato che serpeggia in Svezia

Stefano Cingolani dell'Irpef

“Pensi che stupidi questi inglesi con la loro Brexit: se la prendono con gli immigrati, con la burocrazia di Bruxelles, con il cambio della moneta e non si accorgono che si stanno sparando sugli alluci. Altro che Islam, altro che terrorismo, la Russia sta minacciando l’Europa”. Chi ci accompagna è un uomo d’affari che pure nel 2003 votò contro l’ingresso della Svezia nell’euro. Adesso, vedrebbe volentieri il suo paese più integrato nella Ue e persino membro effettivo della Nato. Siamo sul tetto di un vecchio bunker che guarda il mare, rivolto a est. Un residuo della Guerra Fredda, in disuso da decenni, ma oggi sta tornando, sia pur simbolicamente, in vita. Perché da qui, dalle sponde svedesi del Baltico, il nemico pubblico numero uno non è lontano. Il suo nome è Vladimir Putin, il pericolo è la sua politica neo-imperiale.

Il nuovo zar fa paura, eccome. L’appeasement con Erdogan, l’alleanza militare con l’Iran e soprattutto l’escalation in Ucraina con il rischio ormai molto concreto di una invasione stile Crimea che porti all’annessione delle province orientali . Il presidente ucraino Petro Poroschenko giovedì ha lanciato l’allarme e a Stoccolma ascoltano, e come, il grido di dolore che sale da Kiev dove oltre milleduecento anni fa gli svedesi scesi lungo il Dnepr, crearono le basi dalle quali sarebbe nata una nuova nazione. Allora li chiamavano Rus. E la Russia, per un altro paradosso della storia, si deve proprio a quei predoni diventati mercanti, soldati e agricoltori.

La eventuale adesione alla Nato, a questo punto, diventa una questione scottante. Per ora se ne parla tra diplomatici e il governo ha dato il via a una sorta di inchiesta riservata per capire se è una opzione praticabile. Difficile credere che il partito socialdemocratico al potere spezzi una più che secolare tradizione di neutralità che ha consentito di sfuggire alla prima e alla seconda guerra mondiale. E’ vero, il prezzo dal punto di vista politico e morale del doppio gioco è stato elevato. Tanto che a lungo si è cercato di nascondere sotto il tappeto la macchia più grave: aver lasciato che le armate hitleriane attraversassero il paese per invadere la Norvegia nel 1940 e un anno dopo, con l’operazione Barbarossa, per attaccare la Finlandia. Ma diventare adesso parte integrante dell’alleanza militare occidentale, non sembra molto popolare. Anche se il livello di guardia è stato alzato, eccome. Per esempio, è stato deciso di aumentare gli effettivi dell’esercito, una mossa del tutto eccezionale.

Il fatto è che la Svezia non è in grado di difendersi, nemmeno da operazioni militari limitate e convenzionali. La speranza di chi vuole restare neutrale, ma non arrendersi al nuovo zar, è che in caso di minaccia se non proprio di attacco, la Nato interverrebbe comunque, del resto Norvegia e Danimarca ne sono membri attivi e importanti. Ma proprio i vicini sono stanchi del non allineamento svedese, lo considerano un atteggiamento egoistico, da botte piena e moglie ubriaca. Bisogna assumersi le proprie responsabilità, bisogna pagare anche, per la propria sicurezza, non aspettarsi un grazioso aiuto dall’esterno. Su questo, Donald Trump ha ragione. Del resto, nella sostanza, la pensa così anche Hillary Clinton come ha spiegato Henry Luce il corrispondente del Financial Times dagli Stati Uniti.

Tutto ciò sembra stano e lontano a un italiano che ha negli orecchi non solo le sparate di Salvini in cerca dei rubli da Mosca, ma le ben più sofisticate analisi di chi i rubli li ha ricevuti eccome (Mikhail Fridman e Rosnfet hanno fatto shopping in Italia) o di chi considera ancora strategico l’asse sul gas, per non parlare dei ragionamenti, filosofici più che geopolitici, di robusti intellettuali i quali vedono nella Russia la forza stabilizzatrice del Medio Oriente, il baluardo contro l’islamismo e perché no, la reazione contro il nichilismo occidentale. Eppure, guardando il gelido mare che si stende di qui alle repubbliche baltiche, vien da chiedersi come reagiremmo se dall’altra parte delle Alpi ci fosse non Angela Merkel, ma Vladimir Putin.

“Dialogare, coinvolgere, negoziare”, è questa la classica risposta della sinistra pacifista che prevale anche nel governo socialdemocratico di Stoccolma e nell’opinione pubblica. Ma il pendolo oscilla ormai rapidamente. Speriamo che Poroschenko abbia torto e che a Mosca sia cominciata l’età della ragione.


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