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Assegno di ricollocazione, perché le critiche sono bislacche

Di Michele Tiraboschi e Francesco Nespoli

La notizia dell’imminente avvio dell’assegno di ricollocazione, lungamente atteso, è accompagnata in questi giorni dalle critiche e delle perplessità di quanti si dichiarano insoddisfatti del metodo con il quale verranno scelti i primi beneficiari.

Per divulgare il metodo scelto dai tecnici della nuova Agenzie per le politiche attive presieduta da Maurizio del Conte (nella foto), i giornali hanno ripetutamente parlato di una “estrazione a sorte” e persino di “lotterie”. Un’espressione che assegna la scelta della neonata agenzia al novero di quelle politiche bollate di approssimazione come “i tagli lineari” e “gli incentivi a pioggia”, anch’essi argomento di attualità in tema di lavoro. La randomizzazione della selezione dei beneficiari dei primi assegni di ricollocazione non c’entra però nulla con l’intenzionalità politica che è semmai a monte, nella selezione del bacino di lavoratori interessati, ossia coloro che hanno già goduto di 4 mesi di Naspi.

Ciò potrebbe essere reso chiari ai cittadini qualora la divulgazione scientifica in materia di statistica godesse di una migliore cura. Il principio è semplice, ma contro-intuitivo: in statistica il miglior modo per fare scelte eque all’interno di un universo delimitato, è fare estrazioni casuali. E’ questo che offre a ciascun membro dell’insieme considerato la stessa probabilità di essere scelto. La randomizzazione inoltre evita gli errori sistematici nei quali si può incorrere utilizzando criteri diversi. Quanto al modo con il quale si randomizza il campionamento, ossia come si costruisce “la casualità”, questa è una delle frontiere della ricerca statistica, che non si affida evidentemente a dee bendate o alle urne del Lotto (si veda M. Marra, Il Problema del campionamento).

Non si tratta quindi certo di una processo sregolato, ma dell’affinamento di un metodo scientifico e sperimentale che permette di combinare al meglio la necessità di implementare il più innovativo elemento del Jobs Act in condizioni di risorse finanziarie insufficienti a coprire tutti i disoccupati d’Italia, come avrebbe voluto il dettato del decreto relativo (come già evidenziato in M. Tiraboschi, Jobs Act e ricollocazione dei lavoratori, in Diritto delle Relazioni Industriali, n.1/2016).

Se siamo quindi in ritardo nell’attuazione delle politiche attive, le critiche sollevatesi dimostrano che di esse c’è ancora una scarsa conoscenza in Italia, dei tecnici quanto dei commentatori. Specialmente se si tiene conto che si tratta delle prime sperimentazioni, il principio seguito dell’agenzia pone invece il nostro Paese sulla strada giusta, che è quella dell’attuazione scientificamente accurata, basata su una sana cultura del dato, e del monitoraggio progressivo.


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