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Divagazioni semiserie sulle bugie a 5 Stelle (non solo di Luigi Di Maio)

Forse Beppe Grillo, Luigi Di Maio e Virginia Raggi non lo sanno e comunque se ne impipano, ma in queste ore hanno contribuito a riportare al centro dell’attenzione una delle “vecchie glorie” della filosofia, il concetto di verità. Si pensi alle loro dichiarazioni e ai loro silenzi degli ultimi giorni: “Esistono molte specie di occhi, dunque molte verità, e perciò nessuna verità“, scriveva Nietzsche, sintetizzando il passaggio dal “trivialismo” (tutto è vero) al nichilismo (niente lo è). Dal canto suo, Martin Heiddeger osservava che la parola greca alétheia (verità) contiene léthe (il nascondimento, o l’oblio), ossia il falso, l’errore. Un esempio dello stretto rapporto tra verità e menzogna è quello di cui è stata protagonista Paola Muraro, l’assessora capitolina (sostantivo femminile orribile, ma lo uso per non urtare la sensibiltà dell’on. Laura Boldrini): ha sempre negato di aver ricevuto un avviso di garanzia e ha sempre nascosto (almeno fino all’altro ieri) di essere indagata per reati ambientali.

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Nei corsi del 1984 al Collège de France (“Il coraggio della verità”, Feltrinelli, 2011), Michel Foucault sottolinea il legame tra il “dire la verità” e la democrazia, ricordando l’importanza della parresía (“franchezza”) per gli uomini politici dell’Atene di Pericle (495 a.C. circa-429). La pratica della democrazia, spiega il grande “archeologo dei saperi” francese, richiede tre condizioni: la possibilità per tutti di prendere la parola; l’ascendente che alcuni, i rappresentanti del popolo, hanno tra i cittadini; la verità, come ragione primaria di tale ascendente politico. Il diritto di avere una voce speciale nel contesto democratico, in altri termini, deriverebbe direttamente dalla parresía, la capacità di dire e far intendere il vero. La democrazia degenera quando emergono i falsificatori-simulatori di verità. Il “cattivo parresiasta” allora non dice la verità, ma “dice qualcosa che rappresenta l’opinione corrente, quella della maggioranza“, egli è l’opportunista senza coraggio: “Gli interessa solo garantire la propria sicurezza e il proprio successo” (per approfondire l’argomento, consiglio l’aureo volumetto di Franca Agostini “Menzogna”, Bollati Boringhieri, 2012).

Ebbene, ai dirigenti del movimento pentastellato è accaduto qualcosa di simile. Non sono i primi e non saranno certamente gli ultimi. Ma il mantra della “diversità” (morale o addirittura antropologica) si è sempre rivelato un trappolone per chi intende fare politica e, soprattutto, governare. Ci provò il compianto Enrico Berlinguer, e abbiamo visto come è andata a finire con i suoi sedicenti eredi.



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