L’80% delle emissioni del settore dei trasporti è provocato da automobili e camion a benzina e a gasolio. Le strategie politiche e industriali europee hanno puntato sul diesel pulito, ma pulito solo nei test di prova: prima il dieselgate negli Stati Uniti e poi lo sconto politico al Parlamento europeo a gennaio 2016, hanno evidenziato il fallimento di 15 anni di norme e investimenti delle grandi case automobilistiche. Mentre governi e istituzioni stabilivano emissioni sempre più basse di inquinanti e di consumi (la CO2 a km percorso avrebbe dovuto scendere a 130 grammi prima e 95 grammi entro il 2020), abbiamo scoperto (si veda il dossier “Malaria 2016” di Legambiente) che le agenzie per l’ambiente di tutta Europa assumevano un valore reale medio di emissioni di ossidi d’azoto per le auto euro 5 circolanti di 5 volte superiore. Tutti sapevano. E gli euro 6, che finalmente dovrebbero ridurre la differenza tra emissioni limiti e quelle reali, causano in compenso un aumento dei consumi, tanto che la stima ufficiale delle emissioni medie reali di CO2 dei diesel euro 6 supera il valore di 200 grammi a km. Le automobili, gli autobus, ma ancor più i camion a combustione interna non ci aiutano proprio a far la pace né col clima né coi nostri polmoni. Nonostante costino sempre molto cari.
Quali alternative? L’Italia ha concordato con l’Europa di ricorrere entro il 2020 ai biocarburanti per il 10% del consumo. Come farlo? Una buona soluzione è quella adottata anche nella vicina Svizzera. Trasformare tutti i distributori di metano in biometano (sempre CH4, ma di origine completamente biologico): con il milione di veicoli a metano già in circolazione siamo a metà dell’opera (circa il 5% dei consumi nazionali di carburante). Si dovrebbe poi produrre nuovo biogas e biometano per nuovi veicoli: usando soltanto scarti organici (raccolta dell’umido dai rifiuti, scarti agricoli e dell’industria alimentare) è possibile ricavare più del triplo di tutto il metano prodotto dalle piattaforme a mare, inutilmente sottoposte a referendum. Biometano in grado di alimentare la rete di distribuzione stradale via condotta o con carri bombolai: il meccanismo incentivante è pronto, manca solo il varo da parte del governo di un decreto legge, ostacolato da due anni dalle solite lobby petrolifere.
E poi? Poi si sta diffondendo la nuova mobilità elettrica. Biciclette elettriche (un milione in circolazione in Olanda, mezzo milione venduto lo scorso anno nella sola Germania) o autobus (come in centro a Torino) con sistemi di ricarica rapida alle fermate (Siemens e Abb). Oggi le auto elettriche vendute in Italia sono solo un migliaio (compresi quadricicli e furgoni), neanche l’uno per cento del mercato. Dal 2015 il primo mercato per le auto elettriche è la Cina, con 320mila veicoli venduti. Alcune nuove city car elettriche made in Pechino sono di disegno italiano, sono piccole e gialle e costituiscono la flotta del servizio in condivisione di Share’NGo a Milano, Firenze e in centro storico a Roma. Come mai nelle grandi città cinesi si vendono così tante auto elettriche? Perché la famiglia cinese che vuole comprare un’auto nuova nell’inquinatissima Pechino entra in lista d’attesa e versa allo Stato 10mila euro per avere la targa: se opta invece per l’elettrico non paga tasse e ottiene agevolazioni pari anche a metà dell’acquisto! Come nella modernissima Norvegia: tassa di importazione e iva si paga solo sull’auto a petrolio, mentre per l’elettrico si è esonerati anche da bollo, parcheggio, pedaggi urbani e autostradali e si possono usare le corsie preferenziali e elettricità gratis su gran parte delle colonnine di ricarica. Così che il Paese nordico con più piattaforme petrolifere è anche quello che ha più auto elettriche in circolazione: 1 su 5 tra le nuove vendite. Segue l’Olanda, che si accinge anche lei a definire il percorso normativo che deve portare l’intero Paese a non vendere più automobili a gasolio o a benzina entro il 2025. Il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, ha annunciato di preparare un piano a tappe: l’anno scorso ha vietato la circolazione dei diesel euro 3 venduti sino al 2005, i prossimi saranno gli euro 4. Anche nel Comune di Milano, nell’area c, quella in cui si paga un pedaggio d’ingresso di 5 euro, il divieto è in vigore nel semestre invernale. Ma Milano è ancora l’unica città italiana (al pari di Londra, Copenhagen, Oslo, Singapore) ad aver creato zone di traffico a pagamento.
Eppure qualcosa si muove anche nelle città italiane, dopo Share’NGo arriveranno i servizi di car sharing elettrico a Torino (i francesi di Bolloré) e della Bmw di nuovo a Milano. Sono elettrici i furgoni consegne di Dhl a Milano (l’esenzione dei 5 euro al dì dell’area c ha determinato la decisione) e la prima flotta in sharing aziendale a Bari (Nissan Leaf). Legambiente ha lanciato convenzioni e gruppi d’acquisto per auto e bici elettriche e per promuovere diverse forme di sharing elettrico (www.viviconstile.org). Speriamo presto che si promuoveranno anche i servizi di taxi elettrici, le flotte comunali di servizi, gli autobus: convertire un vecchio e inquinante autobus urbano a elettrico costa meno di 100mila euro, comprarne uno nuovo diesel oltre 400mila. La mobilità elettrica può dunque conquistare tutte le nicchie di mercato già oggi convenienti. È questa la proposta che Legambiente fa al governo italiano che entro novembre deve presentare all’Europa il suo primo piano nazionale.
Andrea Poggio (Responsabile mobilità sostenibile di Legambiente)