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Chi ha boicottato Rousseff

Coloro che seguivano i Giochi olimpici sugli schermi televisivi di tutto il mondo, avrebbero potuto notare, uno degli ultimi giorni, una giovane donna su uno dei sedili di una gigantesca tribuna che reggeva un cartello di modeste dimensioni estraneo all’evento sportivo. Il testo era: “Fora Temer”.

Chiedeva dunque la cacciata di Michel Miguel Elias Temer Lulia, in quel momento vicepresidente del Brasile e aspirante a diventare il numero uno attraverso l’eliminazione di Dilma Rousseff. Invece di una gara per la medaglia d’oro incombeva un processo di eliminazione della detentrice del potere e di promozione dell’uomo dalla medaglia d’argento.

Ci ha pensato il Senato, ultimo giudice nel processo di impeachment nella farraginosa Costituzione brasiliana. Era tutto scontato: hanno votato in 81 e soltanto venti per l’assoluzione della presente. Tutto era preparato, anche un capo d’accusa singolare perché non riguarda alcun reato perseguibile penalmente.

In uno dei Paesi più corrotti della Terra, la sessantottenne Dilma non si è infilata in tasca un solo Real. Si è limitata a manovrare le cifre di un bilancio nazionale in deficit in modo che dessero meno nell’occhio, usando le maggiori banche del paese. Uno dei suoi predecessori fu pure esautorato, ma sulla base di avere rubato parecchi milioni. Il suo successore, Michel Temer, non potrà ricandidarsi perché condannato per irregolarità nelle spese elettorali. In tutto 364 uomini politici brasiliani sono, in questo momento, oggetto di investigazione, tutti e sempre per lo stesso tipo di reato, quello che mal si concilia con le “mani pulite”.

E allora perché Dilma ha pagato, cacciata dalla più alta carica del Brasile? Lei dice che si è trattato di un golpe. È d’accordo, insomma, con quella ragazza della tribuna olimpica. Un golpe parlamentare: le camere che l’hanno condannata avevano confermato nelle ultime elezioni la maggioranza al suo partito, il Partito dei Lavoratori, condotto alla vittoria tredici anni fa da Luiz Inacio Lula da Silva, detto ai suoi tempi il “Walesa brasiliano” o anche “il Lula metallurgico”, per il mestiere che faceva da giovane, coincidente con quello dell’ultimo eroe dell’indipendenza polacca. In un paese in cui le differenze di reddito erano (e restano) enormi. Eletto in un voto di protesta dopo anni e anni di dittatura, Lula fu accolto dallo scetticismo dei compenti.

Invece realizzò il miracolo brasiliano, liberando dalla miseria più di trenta milioni di cittadini, facendo salire il tenore di vita di quasi tutti, procurando al Brasile un posto in una “alleanza” mondiale che si voleva alternativa all’establishment finanziario. Si chiama Brics, comprendendo Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. Adesso quel “pentapartito” è in crisi e il Brasile più forte che altrove, ma Lula era andato da un pezzo in pensione e si era scelto come erede Dilma Rousseff, sulle cui spalle è crollato l’edificio.Non era stata una scelta unanime, perché Dilma era e resta un personaggio particolare, forse perfino eccentrico. Come dice il suo cognome slavo, è di origini bulgare. Si è amalgamata bene nella società brasiliana, sia pure di un tipo un po’ particolare: era guerrigliera nella lotta contro la dittatura, in una Avanguardia Rivoluzionaria Armata. Pare abbia partecipato anche all’organizzazione di una rapina a una banca al fine di finanziare la lotta clandestina. Neanche lei prevedeva che più tardi sarebbe diventata ministro delle Finanze.

Quando si presentò per la presidenza, fu eletta la prima volta con una maggioranza confortevole, la seconda di più stretta misura contro un’opposizione divisa; ma aveva potuto presentare un bilancio piacevole. La crisi finanziaria mondiale la colse poco dopo e la sua popolarità cominciò a rotolare. Il Partito dei Lavoratori non aveva più la maggioranza assoluta ma fruiva dell’appoggio del Partito del Movimento Democratico Brasiliano, il cui leader è Temer. Governo di coalizione, scandali condivisi, culminati in quello del Petrobras, la potentissima Eni brasiliana. Gli scandali si susseguirono, portando a rimpasti ministeriali che coinvolgevano un po’ tutti; ma sono diventati un’arma mortale da quando hanno fornito alle varie forze d’opposizione (soprattutto quelle finanziarie da cui dipendono in larga misura i partiti) l’occasione per coalizzarsi, consistente soprattutto nel passaggio massiccio di parlamentari eletti nel partito di Dilma ai ranghi dell’opposizione.

La carriera politica di Dilma Rousseff è finita. Non lo è, almeno in teoria, quella del suo “padrino” Lula che passato il suo periodo di “ferie” costituzionali, ridiscende nell’arena. Se ne parla, ma non spuntano ancora i cartelli con il suo nome. Ce n’è già uno per il movimento per cacciare Temer.Il cui primo compito potrà essere quello di sistemare una crisi nelle prossime olimpiadi: quelle dei paraplegici.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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