Negli ultimi tempi si è parlato spesso dell’Europa che non c’è, delle sue difficoltà e, talora, della sua incapacità nell’affrontare e risolvere questioni urgenti e fondamentali. Lo spettacolo che offre l’Ue, spesso, è sconfortante: i tanti piccoli egoismi, la volontà di primeggiare di alcuni, l’incapacità di assumere decisioni ragionevoli sui grandi drammi a partire dai profughi e dagli immigrati, la mancanza di una visione sul ruolo e sul futuro dell’Unione.
Tutto ciò ha inevitabilmente alimentato il populismo: il nuovo spettro che si aggira per l’Europa. Un populismo che va combattuto. Ma non si può essere timidi nella costruzione dell’Ue e poi lamentarsi della lontananza dell’Europa, non si può inseguire o essere blandi nei confronti dell’antieuropeismo e poi utilizzare Bruxelles come alibi politico: lo scaricabarile di tutte le cose che non vanno. Il tempo dello scaricabarile è finito. Siamo un grande Paese, fondatore dell’Unione e contribuente netto del bilancio comunitario e, diciamolo chiaramente, per noi l’adesione all’euro era, e resta, una scelta lungimirante, che ci ha salvato dal default. In Italia, abbiamo un debito pubblico veramente esagerato che non può essere affatto sottovaluto. Un debito pubblico che è aumentato considerevolmente anche con il governo Renzi, perché la politica e il sistema economico e sociale sembrano scientificamente strutturati per spendere soldi pubblici.
Oggi molti Stati membri hanno paura della Germania. La crisi economica che ha colpito l’Eurozona ha offerto alla Germania la possibilità di diventare l’indiscussa prima potenza europea e di imporre la propria ideologia economica e politica, basata sull’austerità e su una disciplina finanziaria con caratteristiche di rigidità e di continuità. Ma fino a dieci anni fa erano proprio i tedeschi a non fare le riforme necessarie e a trascinare in basso l’Europa. Oggi, dopo averle fatte, sembra che pretendano di imporle a tutti, senza però un orizzonte ideale sostenibile: un progetto che tenga conto del mutato contesto economico e sociale di questi anni di grande crisi e che interpreti fino in fondo lo spirito di integrazione tra gli Stati membri, fondato anche sulla mutua solidarietà e non soltanto sull’ortodossia contabile della Bundesbank.
L’Europa da sempre si è confrontata con grandi sfide: sono state tutte raccolte e sono diventate occasione di rilancio e di sviluppo. Quest’ultima ha origine nei grandi cambiamenti indotti dal nuovo ordine economico mondiale. Nuovi Paesi si sono affacciati sul mercato mondiale e oggi la nostra sfida è trasformare la vecchia Europa in una potenza prospera e influente. Abbiamo bisogno di un’Europa sociale, attenta a coloro che hanno sofferto di più per la globalizzazione. Senza una grande dimensione europea, un’alleanza ed una solidarietà per lo sviluppo dell’economia reale e per l’occupazione, l’obiettivo di sfidare la globalizzazione finanziaria non può essere raggiunto.
Dobbiamo riscoprire l’economia sociale di mercato aggiornata e rivista sulla base dei tempi che cambiano: come formula riconciliante, perché l’economia sociale di mercato non suppone solamente un sistema coordinato ed una logica di mercato. L’aggettivo “sociale” ci avvisa che il sistema persegue obiettivi di natura sociopolitica, può essere paragonato ad un triangolo che modera le tensioni esistenti fra i suoi vertici: necessità di sviluppo economico, bisogno di libertà e di iniziativa personale, esigenza (individuale e collettiva) della sicurezza sociale in ogni suo aspetto.
In questo tempo così complesso è principalmente di un afflato ideale e di una ambizione intellettuale altrettanto forte che più abbiamo bisogno. E sottolineando ancora la miopia dell’Ue che non ha avuto il coraggio di inserire nella Costituzione un doveroso richiamo alle radici storico-culturali cristiane: per confrontarci con gli altri dobbiamo sapere chi siamo, da dove veniamo e soprattutto dove vogliamo andare.
Credo che oltre a tutte le analisi sulla “liquidità” della società in cui viviamo, questa debba essere l’epoca di un “pensiero pesante” oltreché lungo. Il regalo migliore che possiamo fare all’Europa, e dunque anche all’Italia (e a noi stessi), è provare a restituire a entrambe un’anima ed una cultura politica. Il rilancio non può che essere politico: la cessione di sovranità all’Ue è la sola maniera per recuperare la sovranità nazionale e le forze di ciascuno Stato. I messaggi dei vari Le Pen, Farage (e anche del nostro Salvini), parlano del recupero di una grandezza nazionalista che non esiste più e tendono solo ad isolare il proprio Paese.
Questi temi saranno al centro dei due giorni (3 e 4 ottobre), che il Mcl organizza a Strasburgo.