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Cosa è successo davvero tra Matteo Renzi e Piercarlo Padoan sulla Nota al Def

Che gestazione ha avuto la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (DEF 2016) che, secondo un comunicato di Palazzo Chigi di martedì sera, era stata approvata dal Consiglio dei Ministri? Ai giornalisti è stata consegnata una smilza tabellina con tre serie di dati 2015-2017 sul reddito nazionale, sul deficit e sul rapporto debito/PIL. Ma solo alle 22 di ieri stato possibile conoscere i contenuti della Nota. Siccome è un documento corposo (136 pagine), non si può pensare che non fosse già pronto ieri. Se non è stato possibile leggerlo per 24 ore filate, evidentemente, prima del Consiglio dei ministri o nel Consiglio, deve essere successo qualche cosa che ha costretto il Mef a riscrivere buona parte del documento che aveva predisposto.

Quale sia l’oggetto del contendere non si può sapere, ma non è difficile immaginarlo. Vi deve essere stato un primo scontro sui saldi. Il presidente del Consiglio deve avere chiesto al ministro dell’Economia di fissare il deficit 2017 al di sopra del 2% che evidentemente è quello che, allo stato, la Commissione Europea è disposta ad accettare.

Bruxelles potrebbe forse accettare uno sforamento del 2% per spese eccezionali, ma non vuole essere forzata ad accettare un bilancio che nega gli impegni assunti da questo stesso governo in passato. Probabilmente Renzi voleva arrivare almeno al 2,4% per poi andare oltre con le spese di emergenza per il terremoto di Amatrice, ma Padoan deve avere resistito e, a stare alla tabella di ieri, dovrebbe avere vinto.

Di conseguenza lo scontro si deve essere spostato dai saldi alle cifre che precedono i saldi. Si può supporre che la presidenza del Consiglio volesse includere delle spese aggiuntive o delle riduzioni di imposte che non rientrano né nel 2% e neppure nel 2,4% del deficit 2017 e che quindi non erano contemplate nel testo presentato dal MEF.

Renzi deve avere detto a Padoan che egli non accetta che quelle promesse non trovino posto nella legge di bilancio e può avere aggiunto che se egli “cedeva” sui saldi, spettava al ministro trovare posto, entro quei saldi, per le scelte politiche di Palazzo Chigi: vedesse quindi Padoan cos’altro tagliare o come altro fare cassa per immettere quelle spese nel bilancio. E poiché è difficile farlo con i limiti stretti del bilancio, questo spiega perché il documento stentava ad uscire.

Resta infine il giudizio se questa legge di bilancio, con questi numeri, sarà utile o no. La risposta è, almeno per chi scrive, molto chiara: non è con queste cifre che si porta l’Italia fuori dalla crisi e sulla strada della crescita. Ben altre sono le modifiche del bilancio che sarebbero necessarie per immaginare una manovra incisiva. Come in questi tre anni, il governo Renzi parte con propositi “rivoluzionari” e infine opta per una legge che non risana i conti, né fa ripartire l’economia. Il governo lo sa, ma forse gli basta calmare alcuni dei malumori sociali più forti che lo tormentano.


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