Che lo sviluppo di un sistema di trasporto richieda e comprenda come sua componente essenziale lo sviluppo di una infrastruttura energetica è un paradigma per la comunità di scienziati ed esperti del settore ed esprime una visione sistemica del problema che non si può non condividere. Nessuna meraviglia, dunque, che ciò debba valere anche per l’elettrificazione del trasporto su gomma; insieme ai progressi in campo veicolare, testimoniati dalla crescente popolarità delle auto elettriche e ibride plug-in, assisteremo quindi al parallelo sviluppo dei servizi pubblici di ricarica, secondo le stesse modalità realizzatesi per il metano e il Gpl: stazioni di servizio con colonnine di ricarica “quasi” equivalenti agli erogatori del carburante.
Il “quasi” rappresenta l’impossibilità di arrivare agli stessi tempi di rifornimento, considerato che il pieno di una autovettura convenzionale è di alcune centinaia di chilowattora, il che, per ricariche elettriche da completare in pochi minuti, corrisponderebbero a megawatt di potenza. Si potrà rimediare facendo rifornimento più spesso, anche per pochi minuti, quando molte stazioni di servizio avranno le loro colonnine.
Senza stazioni di servizio, infatti, l’auto elettrica, rimarrebbe un prodotto di nicchia, riservato a chi può ricaricarla a casa. E, purtroppo, là dove sono maggiori le opportunità d’uso di un’auto elettrica, in città, minori sono le probabilità che l’utente disponga della ricarica domestica.
Per fortuna, la rete elettrica arriva dappertutto – a differenza dell’idrogeno – e non ci sono ragioni perché non possa soddisfare anche le necessità di ricarica dei veicoli elettrici stradali su scala globale: 10 milioni di automobili elettriche aumenterebbero il consumo di energia elettrica nel nostro Paese solo di pochi punti percentuali.
Per evitare squilibri della rete, a livello locale e in alcuni momenti della giornata, le stazioni di servizio dovranno però dotarsi di sistemi di accumulo dell’elettricità, batterie, magari riciclando quelle stesse recuperate dalle auto, con una funzione corrispondente ai serbatoi interrati per gasolio e benzina e a un costo paragonabile a quello di un compressore per il metano.
Le tecnologie di ricarica, infatti, sono in rapida evoluzione verso sistemi sempre più potenti, da 100-150 kW, con impatti sempre maggiori in termini di picchi di domanda. La Tesla, con il suo Supercharger da 125 kW, offre la possibilità di caricare l’80% di un pacco batterie da 85 kWh in 30 minuti, lo stesso propone la CharIN Ccs Fast charge initiative, tra i marchi del gruppo Volkswagen e altri nomi di spicco dell’automobilismo tedesco. Nei nostri laboratori (e in quelli dei colleghi all’estero) ricariche ancora più veloci, 15-20 minuti, sono una realtà già da molti anni. E, poiché autonomie pratiche di due/trecento chilometri saranno lo standard, almeno per le vetture elettriche di classe media, e queste autonomie corrispondono a batterie da 40-50 kWh, queste auto saranno ben in grado di accettare ricariche da 150 kW. Il che consentirebbe di limitare il tempo perso al distributore, 2-3 ricariche da cinque minuti a settimana per gli utenti con percorrenze inferiori a 20 chilometri al giorno, per l’area romana ben il 40% del totale, studio dell’Enea.
La ricarica lenta nei parcheggi di interscambio, nei centri commerciali, per il car-sharing, supererà poi le attuali limitazioni – praticità d’uso, sensibilità ai vandalismi e agli agenti atmosferici – con lo sviluppo della ricarica contactless che entrerà sul mercato anche come kit integrativo (Bosch, con il Plugless power di Evatran, adottato da Herz e da Google negli Stati Uniti e a lungo provato anche da noi). La tendenza è anche qui verso un aumento della potenza, fino a 7 kW, per consentire la ricarica notturna di un pacco fino a 60 kWh. Ma si va verso sistemi ancora più potenti, ad esempio la Volvo per la sua E30, con batteria da 24 kWh, ha allo studio un sistema che ne consente la ricarica completa in poco più di un’ora, il tempo di sosta in un centro commerciale.
Concludiamo con qualche considerazione sui costi, che è possibile ottimizzare. Per la collocazione delle colonnine, ad esempio, è stato sviluppato in Enea un tool che, partendo dall‘acquisizione del pattern degli spostamenti e delle soste di migliaia di veicoli – quelli provvisti di sistemi di geolocalizzazione – è in grado di ottenere la georeferenziazione dei punti di ricarica ed il profilo temporale dell’impegno di potenza, ricavandone ipotesi di dimensionamento dell’infrastruttura. Un lavoro specialistico e impegnativo che solo le competenze acquisite in termini di gestione dei big data ha potuto consentire.
Una distribuzione capillare sul territorio di accumuli elettrici nelle stazioni di servizio faciliterebbe infine una gestione smart della rete, con batterie in servizio bidirezionale, ovvero anche come generatori per rispondere alla richiesta di picco. Un servizio che, se parzialmente a carico del gestore della rete in proporzione ai costi evitati grazie alla sua disponibilità (una normativa specifica è in fase di studio), diminuirebbe il costo della batteria “a terra” per il gestore della stazione di servizio. Si sopperirebbe così, almeno in parte, al ridotto numero di ricariche giornaliere ipotizzabili nella fase di avviamento del mercato.
Giovanni Pede (Responsabile del Laboratorio sistemi e tecnologie per la mobilità e l’accumulo di Enea)