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Cosa succede nei partiti al Sud?

Passata la buriana estiva sull’inchiesta “Mammasantissima”, che metterebbe in luce una oscura rete tra politica, massoneria deviata e ndrangheta, tutto sembra essersi quietato.

Da garantista, non posso che dire che sul piano penale le accuse andranno accertate e provate, poiché la presunzione di innocenza, in uno stato di diritto quale l’Italia dovrebbe ancora essere, vale per tutti, senza eccezione alcuna, e non può dipendere né dal soggetto né dal clamore dei fatti.

Eppure, per l’ennesima volta, è mancata una seria riflessione che avrebbe dovuto interessare in primo luogo la politica e le istituzioni, chiamate a interrogarsi sullo stato di salute del nostro sistema democratico e istituzionale.

Che partiti ormai privi di ruolo e funzione non svolgano più il compito di aggregazione e di rappresentanza degli interessi legittimi presenti nella società e che non siano i soggetti che determinano, con metodo democratico, la vita delle istituzioni, è cosa fin troppo nota. Ciò che sembra non essere ancora chiaro è che questa mancanza ha prodotto nel corso del tempo guasti e devianze cui non è facile porre rimedio.

È del tutto naturale che in realtà periferiche e povere come quelle meridionali gli interessi si concentrino sul controllo del potere politico e istituzionale, non solo perché quello più a portata di mano, visto il venir meno di centri decisionali democratici all’interno dei partiti e finanche all’interno delle istituzioni, ma anche perché l’unico esistente.

È in questo contesto che i soggetti criminali riescono a rappresentare al meglio i propri “affari” se non quando, come avvenuto ormai costantemente nell’ultimo ventennio, intendono divenire essi stessi Istituzione per operare in prima persona e senza troppi intermediari.

Per comprendere il fenomeno nel suo complesso bisognerebbe chiedersi come si forma oggi il consenso (il cosiddetto voto) e su quali pilastri regge oggi il nostro assetto democratico, specie nelle regioni meridionali ad economia assistita. Quali sono gli strumenti, i progetti, i valori e gli interessi collettivi e quali sono i soggetti organizzati sono chiamati a perseguirli?

Scopriremo, rispondendo a questa domanda, che sono saltati tutti i presidi democratici esistenti siano essi partiti, associazioni e sindacati. In campo rimangono solo gli interessi e le cordate, quasi sempre trasversali, che si organizzano intorno ad essi. Così, le mafie, che godono per loro natura di una organizzazione radicata e capillare, sono avvantaggiate specie nel rapporto con chi cerca facile consenso offrendo in cambio una politica di scambio.

È pertanto fallimentare la sola opzione “repressiva” se non si ripristinano nel sistema gli anticorpi della democrazia e della partecipazione popolare, avamposti primari per svolgere una funzione di controllo e di prevenzione delle illegalità e dei fenomeni degenerativi.

Se la risposta delle istituzioni è quella della Commissione antimafia, non c’è però da sperare. Come dimostra l’intera vicenda in questione, i codici etici emanati, sono solo dei brodini caldi, utili per la propaganda, per gli spot, per la polemica politica e per il clamore mediatico, buoni per i giustizialisti di maniera e a far straccio del diritto e delle garanzie dell’individuo, ma del tutto inefficienti non solo nella prevenzione ma finanche a fotografare la realtà.

Se all’interno dell’organo parlamentare qualcuno pensa poi di affrontare il problema emerso nell’inchiesta reggina criminalizzando la massoneria ufficiale che, a differenze di altre realtà aggregative ha severe e rigide regole di ingresso e controllo e svolge apprezzabili attività pubbliche e di solidarietà, credo sia o in malafede o preda di pregiudizi che sono il frutto dell’ignoranza che spesso si accompagna al giustizialismo di maniera.

Chiedere la pubblicazione della lista degli iscritti al Goi non porterebbe certo ad alcun risultato, se non quello di violare il diritto alla riservatezza e mettere alla berlina cittadini che, liberamente, coltivano l’arte muratoria.

Tra l’altro, l’esperienza Cordova degli anni ’90 dovrebbe far ben riflettere!

Affrontare questi temi, sviluppare proposte e riflessioni, specie al di là dei singoli fatti traumatici e lontano dal loro clamore, sarebbe un esercizio utile e salutare per la nostra democrazia. Purtroppo, in molti, preferiscono le chiacchiere da bar, la cultura del sospetto, la caccia alle streghe più tosto che un cambio reale e non gattopardesco dello stato dell’arte.

Da par mio, parafrasando Garibaldi, dico che non è questa l’Italia che sogno: “Misera al suo interno e derisa all’esterno”.

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