L’industria petrolifera tira un sospiro di sollievo e dopo aver lottato per la sua “sopravvivenza” può cominciare a ingranare la marcia verso la “crescita”. Lo dicono gli analisti sentiti da Bloomberg commentando la ripresa dell’attività di fusione e acquisizione nell’oil&gas per progetti che valgono diversi miliardi di dollari.
LA RIPRESA DELL’M&A
Nel solo mese di luglio, infatti, secondo i rilevamenti di Wood Mackenzie, sono state annunciate su scala mondiale transazioni nell’industria petrolifera per 11 miliardi di dollari, trainate dalla ripresa dei prezzi del greggio. Il valore degli accordi siglati il mese scorso è il più alto quest’anno e porta il totale da maggio a 32 miliardi, il triplo di quanto realizzato nei tre mesi precedenti. Secondo Wood Mackenzie, se i prezzi del petrolio si stabilizzano, ci saranno ancora più transazioni nei prossimi mesi.
I COMPRATORI
A muoversi sul mercato del dealmaking sono soprattutto Exxon Mobil e Statoil, tra i principali compratori che hanno ricevuto un’iniezione di fiducia dalla ripresa dei prezzi. Le acquisizioni permetteranno a queste, come alle altre aziende, di garantirsi la crescita futura, dopo che il settore oil&gas ha tagliato le sue spese di ben 1.000 miliardi di dollari per proteggere i conti quando il prezzo del greggio era ai minimi.
“L’estrema volatilità del prezzo del petrolio ha causato grande incertezza a inizio anno”, osserva Greig Aitken, principal analyst for mergers and acquisitions di Wood Mackenzie. Ora le aziende credono in una stabilizzazione del mercato e così l’attività di acquisizione riprende. “Si guarda anche alla crescita, non solo alla mera sopravvivenza”, dice Aitken.
GLI ASSET CHE FANNO GOLA
L’americana Exxon, il più grande produttore di petrolio per capitalizzazione di mercato, ha annunciato a luglio l’acquisizione di InterOil Corp (nel settore del gas naturale) per 3,6 miliardi di dollari, garantendosi risorse in Papua Nuova Guinea. I colossi del petrolio guardano con interesse alla Papua Nuova Guinea per la qualità del gas, i costi accessibili e la vicinanza ai grandi consumatori asiatici di gas liquefatto (LNG).
Exxon sta anche comprando da Eni una partecipazione in un progetto legato all’LNG in Mozambico. Secondo fonti di Reuters, l’accordo sarebbe fatto ma verrà ufficialmente annunciato solo tra qualche mese.
Il colosso norvegese Statoil, da parte sua, si è accordato lo scorso mese per comprare un giacimento di petrolio al largo delle coste del Brasile dalla Petroleo Brasileiro. Ha pagato 2,5 miliardi di dollari, la più cospicua operazione per la Statoil dal 2011.
LA SCOMMESSA
Chi compra oggi scommette sul fatto che ci sarà un calo nell’offerta di petrolio e gas dopo il 2018; di qui la decisione di comprare nuovi asset e di far ripartire i progetti, indicano gli analisti di Tudor Pickering Holt & Co.
L’unica transazione recente di grandi dimensioni è quella dell’aprile 2015 con cui Royal Dutch Shell ha comprato BG Group: l’operazione è stata annunciata poche settimane prima che il greggio tornasse a scendere, peggiorando il debito del gruppo olandese. Le aziende che investono oggi non vogliono compiere passi azzardati ma potrebbero sentirsi più fiduciose perché il Brent si è avvicinato ai 50 dollari al barile. Tuttavia, anche se c’è ripresa, “oggi nessuno crede più che il greggio tornerà al prezzo di 100 dollari o più, non nell’immediato”, sottolinea Philipp Chladek, senior industry analyst di Bloomberg Intelligence a Londra. “Solo che in passato non si facevano accordi perché c’era troppa distanza tra il valore dato agli asset da chi vendeva e chi comprava, mentre oggi questi valori tendono a convergere”.
CHI VENDE
Di asset sul mercato ce ne sono tanti. Shell intende mettere insieme 30 miliardi di dollari cedendo una serie di attività di qui al 2018 e BP ha messo in cantiere di vendere suoi asset per 5 miliardi di dollari questo stesso anno. Anche Total ed Eni hanno intenzione di vendere qualche attività. “Sembra si stia tornando a una sorta di attività di M&A e vediamo possibili cessioni da parte delle major”, sottolinea Jon Clark, transaction adviser di Ernst & Young.
Ernst & Young prevede che le acquisizioni nel settore energia accelereranno a fine anno grazie allo stabilizzarsi dei prezzi di petrolio e gas. Andy Brogan, global oil and gas transaction leader della società di consulenze, ricorda che ci sono in tutto circa 2.000 attività o proprietà nel settore energia in vendita su scala mondiale (di cui circa l’80% sono progetti upstream) e sia chi vende che chi compra mostra maggiore ottimismo. Solo in Nord America nel primo semestre 2016 le operazioni dell’oil&gas hanno superato, con quasi 44 miliardi di dollari di valore, quelle condotte nei primi sei mesi del 2015 (39,4 miliardi; l’anno scorso l’attività M&A è stata la più bassa dal 2004).
NUBI SUL MERCATO
Restano ovviamente diversi elementi da considerare che potrebbero tornare a far oscillare i prezzi del petrolio e frenare gli entusiasmi: l’atteggiamento dell’Opec (la cui prossima riunione è fissata per fine settembre), il rafforzamento del dollaro, l’instabilità in Nigeria, il ritorno sui mercati del petrolio dell’Iran e l’aumento dell’export iracheno. Anche l’atteggiamento della Russia ha gettato incertezza sui mercati: il colosso eurasiatico ha annunciato con l’Arabia Saudita un accordo, a margine del G-20 di Hangzhou, che in un primo momento ha fatto impennare di oltre il 5% le quotazioni del barile, riportando il Brent a sfiorare 50 dollari; tuttavia gli investitori si sono poi mostrati scettici perché sauditi e russi non hanno specificato in che modo opereranno insieme per stabilizzare i prezzi. Per alcuni analisti il greggio potrebbe mantenersi ancora per alcuni mesi sotto la media dei 50 dollari al barile e la sovrapproduzione potrebbe estendersi fino al 2017.