‘Reazione a catena’, il quotidiano in onda su Rai uno nel preserale, con uno spin off in prime time (‘Reazione a catena di sera’, in cui si sfidano le squadre più forti) è un quiz che compendia abilmente tutti gli elementi necessari per un format televisivo popolare di qualità: un conduttore popolare (Amadeus), un plot strutturato sul bagaglio lessicale e sulla velocità di intuizione (in sostanza bisogna indovinare delle parole), location e mood all’insegna del ‘volemose bene’, gli stessi che accomunano tutti i giochi di questa fascia ambitissima: quella in cui, da sempre, si annidano gli interessi di producer, architetti dei palinsesti e grandi spender pubblicitari. Per capirci: pensate ai pacchi che vanno in onda dopo il tg, sostituite il vuoto pneumatico delle scatole con un minimo di ragionamento, la caciara di Flavio Insinna con l’aplomb di Amedeo Sebastiani (scuola Deejay, come Fiorello, che Dio renda merito a Claudio Cecchetto…) e il gioco, per l’appunto, è fatto.
Un gioco da poco. “Un po’ di ginnastica mentale che rinfresca la mente”, come dice il pay off del programma. Un bel gioco che non dura da poco, visto che la trasmissione va avanti dal 2 luglio 2007, e che si richiama evidentemente a un brand ancor più longevo come la Settimana Enigmistica e in particolar modo il gioco ‘Il bersaglio’.
Niente di eccelso ma un programma che persino un raffinato intellettuale, facendo zapping stravaccato sul divano, può fermarsi a guardare per qualche minuto senza vergogna. Così come il target nazional-popolare, che non rischia di annoiarsi. Un punto di incontro. Un compromesso. Stiamo parlando della migliore delle televisioni possibili, non della migliore delle televisioni ideali, che hanno il difetto di tutte le utopie: descrivono scenari paradisiaci, lastricando la strada per l’inferno delle peggiori abiezioni. Il meglio è nemico del bene e de gustibus non è disputandum: pretendendo troppo dalla tv rischiamo di creare quei mostri di cui i canali satellitari e digitali sono zeppi, che si tratti di raffinati documentari divulgativi o di talent nordamericani malamente doppiati poco cambia. Nei mass media, se ci si passa l’abominevole gioco di parole, in medio stat virtus.
‘Reazione a catena’ è un programma gradevole e istruttivo, una sorta di ibrido tra ‘Rischiatutto’ e ‘Non è mai troppo tardi’ rivisitati ai giorni nostri. Con l’ulteriore soddisfazione di vedere in questi giorni una straordinaria squadra vincente come i ‘I tre di denari’ (un trio di ragazzi nemmeno troppo nerd, che davvero ‘le sanno tutte’) o un gruppo comico-vocale straordinario come gli Oblivion, i veri eredi del Quartetto Cetra, nella versione serale. Il vero segreto in televisione è proprio questo. La tv che funziona adatta ai propri tempi format antichi, ma non scimmiotta quelli vecchi. Evolve.
Invece la tendenza dominante è perpetrare trasmissioni usurate o riesumare vecchi successi per non rischiare sull’innovazione: Aldo Grasso lo chiama “l’eterno ritorno dell’uguale”. La notte con Michele Santoro o Pippo Baudo a ‘Domenica In’, tanto per fare due esempi ideologicamente opposti che richiamano il paleo-dualismo comunisti vs democristiani. E poi Heather Parisi con Lorella Cuccarini, secondo tentativo di rinverdire i fasti di Mina e Raffaella Carrà dopo quello di Paola Cortellesi e Laura Pausini. ‘Techetecheté’ e Fabio Fazio con Rischiatutto. Giovanni Minoli e Sabina Guzzanti al posto di Maurizio Crozza su La7, come non esistessero The Pills o The Jackal. Per non dimenticare Piero Angela, che resta il nostro miglior divulgatore televisivo ma ha pur sempre 88 anni, e tutti gli inamovibili presentati a ogni stagione come novità.
Che sia trasgressione o tradizione, satira o show, alto o basso, l’età dei protagonisti proposti dal mainstream raramente scende sotto i cinquanta anni anagrafici e i venti professionali. E la sindrome gerontocratica non colpisce certo solo la televisione, basti vedere e ascoltare come a livello musicale imperino ancora indisturbati U2, Genesis, Guns N’ Roses, Ornella Vanoni, Bluvertigo, Kiss, Simply Red, Phil Collins, Pooh: tra addii e ripensamenti, reunion e tribute, pop e rock star che ‘non se ne vogliono andare’.
Ripetiamo: l’equivoco è pensare che per cambiare basti fare una scansione digitale, che alla fin fine è sempre una fotocopia. Invece per evolversi serve adattamento, capacità di adeguarsi al mutare dei tempi, all’ineluttabile ossidazione che nulla risparmia. Come, nel suo piccolissimo, fa Amadeus.