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Siete proprio sicuri che Hillary Clinton abbia la vittoria in tasca?

hillary clinton

I sondaggi sul primo confronto televisivo tra i due candidati alle presidenziali americane, Hillary Clinton e Donald Trump, assegnano il successo all’ex-Segretario di Stato. Cattivissima, ha messo all’angolo lo sfidante, colpendolo ad ogni round sotto la cintura del confronto politico: Trump è stato aiutato dal padre nell’avvio dell’attività imprenditoriale, avendo ricevuto un prestito di ben 12 milioni di dollari; tanti elettori si sono lamentati per non aver ricevuto da Trump il pagamento dovuto per lavori effettuati; numerose volte il suo avversario-costruttore ha dovuto portare i libri in tribunale; agli insulti sessisti già noti, ce n’è da aggiungere un altro, rivolto ad una immigrata clandestina ora regolarizzata. Costei ora voterà, ed è facilmente immaginare per chi. Quale che fosse l’argomento posto dall’intervistatore, Hillary Clinton è sempre riuscita a tirare in ballo una questione personale del suo avversario per metterlo in cattiva luce. Trump non ha reagito con altrettanti attacchi personali. Ha subìto: per questo, la Clinton avrebbe vinto il primo confronto. Ma è semplicistico pensare ad una strada in discesa.

La prima questione, che viene trascurata, riguarda quanto è avvenuto nel confronto politico. Qui, il rapporto di forza tra i due sfidanti si è ribaltato, perchè Trump ha avuto davanti immense praterie su cui muoversi, senza trovare ostacoli: scarsa sicurezza in molte città americane, pagata a prezzo di migliaia di cittadini americani morti ogni anno per mancanza di “Law and Order”; errori enormi in politica estera in questi otto anni, visto che la crescita dell’Isis in Medio Oriente è stata causata dal vuoto di potere determinato dal ritiro delle truppe americane dall’Iraq; desertificazione produttiva in America per colpa del trattato Nafta voluto dall’allora presidente Bill Clinton ed in porspettiva del TPP, per fortuna non ancora ratificato. Su ognuno di questi argomenti, Hillary Clinton ha arretrato: non solo è stata la protagonista di molte scelte, in Medio Oriente e sul TPP come Segretario di Stato nel corso della prima tornata presidenziale di Barack Obama, ma non poteva che difenderne anche le scelte successive. La scelta di attaccare Trump sul piano personale sembra quindi essere stata motivata dalla consapevolezza di una  grande difficoltà sul piano politico, oberata dalla responsabilità di difendere le scelte della amministrazione democratica.

C’è un secondo punto: capire a chi si sono rivolti gli sfidanti nel corso del dibattito. Intanto, non ci sono affatto elettori incerti su quale dei due sfidanti votare, tra Trump e Clinton, ma tanti cittadini incerti se recarsi a votare o meno. In questo caso, la strategia di comunicazione della Clinton sarebbe servita a mobilitare la sua base democratica, spronandola a recarsi alle urne per evitare che vinca Trump, il peggiore dei mali possibili. Sembra una scelta tardiva: doveva farlo durante le primarie, per  favorire un altro candidato repubblicano, più organico al suo partito e più debole sul piano della opinione pubblica. In realtà, la Clinton si è dovuta concentrare sul suo sfidante, Bernie Sanders, che la ha tallonata fino alla fine: si è dovuta difendere da sinistra piuttosto che attaccare a destra. Ora, alla Clinton è rimasto poco spazio di movimento: non ha il carisma di Obama, né uno slogan trascinante come il “Yes, we can”. Combatte una battaglia personale, per ricoprire finalmente il ruolo di presidente: è discutibile che questo basti a mobilitare gli elettori democratici.

Il ritardo colossale nella elaborazione di una strategia di offerta politica da parte della Clinton è dimostrato dal piano in tre punti per contrastare la povertà, di cui ha dato notizia sul New York Times solo la scorsa settimana. Ci si concentra sul lavoro e sul salario minimo, sugli alloggi abbordabili e sulle aree più trascurate del Paese, in cui vivono oltre 43 milioni di persone al di sotto della soglia di reddito minima. Nonostante i buoni alimentari del governo e l’assistenza sanitaria allargata dalla riforma di Obama, secondo la Clinton c’è ancora molto lavoro da fare, viste le tante famiglie che sono state devastate dalla Grande Recessione. Nessuno sapeva granché del Piano: si sono spesi milioni e milioni di dollari, per mesi e mesi, di pubblicità elettorale vuota di contenuti propositivi.

Si arriva così al punto cruciale: e ora? Se il primo incontro è stato aggiudicato alla Clinton per l’abilità con cui ha messo in difficoltà Trump sulle questioni personali, è un colpo di scena che non può essere ripetuto. Quando si andrà al confronto sui contenuti, Trump batterà sulla riduzione delle tasse, richiamandosi a Reagan, mentre la Clinton insisterà sulla necessità di altre spese pubbliche per la assistenza. Sarebbe un assist poderoso per portare anche i repubblicani meno convinti a votare in massa per Trump, ed i democratici non appartenenti alle fasce più povere a disertare le urne. Tutti uniti, con lo stesso slogan: “Altre tasse? No grazie!”.

 

 


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