Le regole ci sono, ma non sono mai state usate. O, meglio, sono state usate solo per candidati vice. Da domenica ci s’interroga su che cosa succederebbe se Hillary Clinton dovesse “gettare la spugna”, dopo il malore dell’11 Settembre a Ground Zero e la diagnosi di polmonite.
Sull’Ansa, Alessandra Baldini lo spiega così: “Lo scenario porterebbe la corsa alla Casa Bianca in acque inesplorate. Cambiare un candidato a metà corsa tra nomination ed elezioni è clamoroso, ma si può fare: non è però mai successo a livello di candidature presidenziali”, ma solo di vice.
Prosegue la Baldini: “Sia il partito democratico che quello repubblicano hanno regole per riempire il vuoto, anche a ridosso della data del voto. Il presidente del partito, in questo caso la presidente ad interim Donna Brazile, dovrebbe convocare il Comitato nazionale che sceglierebbe il candidato a maggioranza semplice. Le stesse procedure si applicano in caso di morte o ritiro di un presidente, eletto dopo l’elezione generale, ma prima della riunione del Collegio Elettorale: nel senso che il partito è l’arbitro assoluto per rimediare alla vacanza”.
In questo caso, però, osserva la AdnKronos, arbitri resterebbero i 538 Grandi Elettori, che si riuniscono nelle capitali dei singoli Stati il lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre (quest’anno il 19 dicembre): la legge federale stabilisce che possono votare per chiunque desiderino.
Invece, se un candidato alla presidenza dovesse vincere le elezioni, ma rinunciare alla carica prima dell’Inauguration Day del 20 gennaio, ma dopo la riunione del Collegio Elettorale, la questione è risolta in base al XX Emendamento alla Costituzione: in tal caso, a diventare presidente sarebbe, infatti, il vice presidente eletto.
“Se non è mai successo al primo posto del ticket presidenziale – spiega Baldini – precedenti esistono per candidati alla vicepresidenza. Nel 1912, il numero due repubblicano James Sherman morì sei giorni prima delle elezioni, ma in quel caso la riunione del partito fu cancellata perché il democratico Woodrow Wilson vinse le elezioni. Sessant’anni dopo fu la volta del vice del candidato democratico George McGovern: fu costretto ad abbandonare la gara 18 giorni appena dopo la nomination quando si scoprì che era stato in cura per depressione. Per tradizione spetta al numero uno del ticket scegliere il suo vice e fu così che McGovern scelse il capo dei Peace Corps Sargent Shriver. Per mettersi in regola fu convocato il Comitato nazionale democratico che confermò Shriver in agosto, prima delle elezioni generali”.
“Se Hillary si dovesse dimettere tornerebbero gioco forza in pista nomi magari già fatti, ma poi superati: dal vice-presidente Joe Biden che meditò a lungo se candidarsi per poi escluderlo dopo la morte del primogenito Beaux per un tumore al cervello, al segretario di Stato John Kerry che nel 2012 raccolse il testimone di Hillary dopo le dimissioni dal Dipartimento di Stato, anche in quel caso per motivi di salute. Mentre l’attuale numero due Tim Kaine non ha necessariamente precedenza nella scelta del Comitato, si è parlato di nuovo del senatore Bernie Sanders, che all’ex First Lady nelle primarie ha dato tanto filo da torcere – e che formalmente non s’è mai ritirato dalla corsa, ndr – , e della collega al Senato Elizabeth Warren (che Hillary ha snobbato come numero due nonostante la possibilità di dar vita a un inedito ticket tutto femminile)”.
Appartengono alla fantapolitica, invece, le voci su Chelsea Clinton e su Michelle Obama, che scende in campo in questi giorni per dare una mano alla candidata democratica, offrendole popolarità, fiducia e carisma in misura tale che Hillary non ha mai avuto.